DELLE MANI E
DELLE GINOCCHIA
Siamo penetrati nel cuore del cuore della nostra fede. Conviene non opporre resistenza al vento dello Spirito e lasciarci trasportare dove vuole. “Parla, Signore, che il tuo servo ascolta”. Parla alla tua Chiesa, al Papa, ai cuori di quei cristiani saldi come la roccia e di quelli di chi fa fatica a rimanere in piedi. Parla a chi si ostina a credere che la tua presenza limiti la loro libertà e fa di tutto per metterti da parte. Parlaci in queste ore luminose e buie, tremende e liberanti. Parla a noi, preti e vescovi, riuniti, questa mattina, nelle nostre cattedrali.
Hai voluto che fossimo famiglia, un coro di voci che cantano all’unisono, senza, però, mortificare le nostre personalità, i nostri carismi, la nostra intelligenza. La nostra santità non consiste tanto nel correre a perdifiato per mettere in campo nuove strategie e strutture pastorali. No, la nostra prima vocazione è quella di rimanere uniti. La certezza di essere al “tuo” servizio ci viene dal saper vivere insieme, esercitando le virtù della pazienza, dell’accoglienza, della fraternità. Insieme, perché il mondo creda; insieme per metterci in ascolto del soffio dello Spirito. Dio non urla, sussurra. Fratelli e sorelle laici, per favore, pregate per i vostri preti, oggi. Chiedete per loro al Signore la grazia della conversione vera. Come voi sono innamorati di Cristo e della sua parola, come voi sono sedotti dalla verità e soffrono per le ingiustizie che lacerano e distruggono la terra. Non lasciateli soli, anch’essi hanno bisogno di sentirsi amati, in un mondo sempre di più affascinante e tragico. Questa mattina, mentre tanti di voi sono a lavoro, insieme ai propri vescovi, fanno festa, cantano, ripetono il loro “eccomi”. Sembrano bambini. Sosteneteli. Non hanno scelto, sono stati chiamati. Con insistenza. Hanno risposto. Eccoli, sono davanti a voi, con i loro limiti, le loro fragilità, la loro fede.
Il loro desiderio è quello di non tradire Cristo e voi, di fare più bello il mondo, di essere voce di chi voce non ha mai avuto e ancora non ha, di mettere insieme i diritti dei potenti e dei già nati con quelli di chi nemmeno sa di averne
Di seminare speranza. Giovedì Santo è anche la nostra festa, donateci un sorriso, un abbraccio, una preghiera.
Al tramonto del sole ci ritroveremo nelle nostre parrocchie e, ancora una volta, cercando di non impazzire, busseremo alla porta del Cenacolo, non solo per contemplare ciò che accadde duemila anni fa, ma per prenderne parte a pieno titolo. Questa sera spezzeremo il Pane. Lo farà per voi e con voi, il vostro povero prete, in Persona Christi.
Non è un privilegio, un lusso ma un’esigenza del cuore e un ordine cui obbedire. Voi avete il diritto di mangiarlo e lui ha il dovere di non farvelo mancare. Sapendo di essere il fornaio non il padrone del forno. È buono il Pane mangiato in compagnia. Nutre, sazia, dà ristoro. Basta sempre. Il Pane eucaristico e quello fatto per riempire lo stomaco. Guai a dividerli. Si reggono a vicenda, stanno o cadono insieme. Sono impastati con la stessa acqua, la stessa farina, lo stesso sudore, lo stesso sangue. Distinti non separati. Le mani che donano e ricevono l’ostia benedetta non possono trattenere ciò che appartiene ai poveri. Figli di un solo Padre, in cammino verso la stessa meta, in ascolto dello stesso Vangelo, mangiamo lo stesso pane. Preghiamo lo stesso Dio, amante della vita, consapevoli che l’uomo – attratto dal vero, dal bello, dal bene – può, per un mistero che a nessuno è dato indagare appieno, lasciarsi ammaliare e distruggere dal male, scendere negli abissi degli orrori, smarrire la pietà. Può scatenare guerre stupide e raccapriccianti, lasciare annegare in un mare d’acqua e d’indifferenza neonati e ragazzini insieme ai genitori in cerca di fortuna e di libertà. In questo mondo, contraddittorio ma sempre amato da Dio, i credenti, laici, preti, consacrati, pregano questa sera. Il Pane, però, lo impasteranno, lo mangeranno, lo adoreranno in ginocchio. È bello inginocchiarsi davanti alla persona amata. Per dirle che è importante, che senza di lei vivere è impossibile. Che ci è preziosa più dell’aria. Ancora una volta, però, abbiamo bisogno di coraggio. C’è un nemico che ci insidia, il suo nome è orgoglio. Acceca chi gli crede, ma scaltro qual è, non glielo fa capire. E gli impedisce di piegarsi davanti a Dio e ai fratelli per diventare uomo. Lo convince che non conviene, è mortificante, non si fa. Non è dignitoso. E tanta gente, ignara o dimentica del vangelo, gli obbedisce. Gesù – Uomo veramente libero – lo ha fatto. Ha lavato i piedi non solo agli apostoli, ma a tutta l’umanità, passata, presente e futura. E ci ha detto che l’unica strada da imboccare è quella del servizio. Chi confessa di volergli bene deve voler bene al prossimo nel quale si nasconde, in particolare i più piccoli, i più fragili e indifesi. Inginocchiati, non aver paura. Lava, ungi, bacia i piedi sanguinanti di tuo fratello. Prendi su di te il peso che lo schiaccia. Accetta la sfida. Credi. Poi, alzati e guardalo negli occhi. E, come in uno specchio, vedrai il meglio di te stesso e Gesù che ti abbraccia la sera della Cena.
di M.Pariciello, da Avvenire
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