Quando ripenso al Natale della mia infanzia, ti confesso, mi sento un alieno alla deriva nello spazio, finito per caso sulla Terra.
Hai visto Sergio il putiferio provocato dalla copertina natalizia di “Der Spiegel”? Gesù bambino spunta fuori da una scatola aperta di Amazon mentre san Giuseppe pensa: «Non l’ho ordinato». E la Madonna chiede: «Ma possiamo cambiarlo»? «L’ho visto eccome. Una cialtronata blasfema di basso livello. Molto peggio della mega affiche dell’artista pop americano Haring. Ti ricordi Ale? Incartava uno shopping centre di New York… ». Sì, aspetta…
Il Babbo Natale gigante messo in croce al posto di Gesù? «Proprio quello. Come il Cristo in giacca e cravatta con i blue-jeans di marca nella vetrina di un grande magazzino sulla Quinta Strada. Che io ricordi, il Natale è stato spesso travolto dalle derive blasfemiche sui simboli sacri della cristianità. La pubblicità è l’anima dannata del commercio e troppe volte strizza l’occhio a clienti di una fede senza inquietudini. Quando ripenso al Natale della mia infanzia, ti confesso, mi sento un alieno alla deriva nello spazio, finito per caso sulla Terra. Allora si era come i semi dentro la zolla, in attesa del magico solstizio della civiltà contadina. Sicuri, al caldo idillio pastorale che quella notte teneva lontane le gelide folate della storia. Per stare in pace bastava rimettersi al provvido rito della nascita e al conforto dei segni celesti confusi nella solidale moltitudine del presepe. Ora invece l’Occidente, area cruciale del benessere e del malessere generati dall’età tecnologica, offre un quadro di palese, addirittura plateale mancanza di spiritualità. Un frastuono sterile. Il mio, cara Ale, era il Natale della carta argentata, del pugno di neve rubato dal sacco della farina. E del muschio. Noi ragazzi dell’oratorio si andava a staccarlo dal muraglione della ferrovia. Aspettavamo che fosse del colore giusto. Quel verde brillante che spuntava tra le piccole crepe dei mattoni. Lo staccavamo con un coltellino dal manico di finta madreperla usato solo in quei giorni dell’anno. Eravamo già in vena di domande, sebbene capissimo che le risposte sarebbero arrivate con qualche prudenza. Perché Dio sceglie di nascere sulla terra attraverso Gesù, dopo millenni dal big-bang? E proprio in quell’anno, in quella notte e in un posto sperduto, privo del telefono e della radio? Don Rossi ci spiegava che Dio, per comunicare la venuta sulla terra di un figlio che si faceva Parola incarnata, per essere tutt’uno con l’umanità, aveva bisogno di affidare la buona notizia, cioè parola e voce, corpo e spirito. Non c’era davvero spazio per le blasfemie natalizie». E se, come sostiene il “British Medical Journal” che pubblica uno studio di un gruppo di scienziati, lo spirito natalizio dipendesse anche dal nostro cervello? «In senso anatomico dici?» Così pare. Ci sarebbero cinque aree maggiormente attive nel gruppo “amanti del Natale” rispetto al “gruppo non natalizio”. Zone cerebrali associate alla spiritualità, ai sensi somatici e al riconoscimento delle emozioni facciali. «Come accadde al vecchio avaro protagonista del “Canto di Natale”, il romanzo di Charles Dickens. Nella Notte Santa, ebbe una visita inquietante di tre spiriti: il Natale del passato, del presente e del futuro. Era il 1843».
Di A. Zavoli, da Avvenire di giovedì 8 dicembre 2022
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