Set 242022
 

La domanda non è stata formulata. Però a un certo punto sembrava aleggiare nel palazzo della due giorni che ha riunito in Kazakistan molti dei leader religiosi mondiali, a cominciare dal Papa. «Credere a cosa serve?».

La domanda, persino banale nella sua brutalità, non è stata formulata. Però a un certo punto sembrava aleggiare nel palazzo della due giorni che ha riunito in Kazakistan molti dei leader religiosi mondiali, a cominciare dal Papa. «Credere a cosa serve?». Di per sé non a fare carriera o ad avere successo, neanche ad apparire interessanti o usufruire di un’esistenza comoda. Tantomeno a diventare più belli o più intelligenti. Insomma, credere in apparenza non serve a niente. Tranne che a sentirsi piccoli di fronte all’amore infinito di un Padre per cui siamo tutti figli unici.

Tranne che a voler imparare l’arte ‘disumana’ del perdono. Tranne che a cercare bellezza anche negli angoli più sporchi del nostro cuore. Tranne che a riconoscersi tutti parte di una stessa famiglia di uomini e donne capaci di vivere come fratelli e sorelle. Tranne che a scoprire, poco a poco, in noi e negli altri quei semi di eterno che saranno la trama del ‘dopo’ che ci attende. È lì la radice della speranza che, come insegna il libro del profeta Geremia, non è sterile ottimismo ma la promessa che il Signore fa di esserci sempre accanto, di non far mai mancare la sua presenza nella storia, personale e collettiva.

Perché è l’umanità fatta di persone che danno senso al credere

Per dirla con papa Francesco, là dove riprende l’enciclica Redemptor hominis di Giovanni Paolo II, «l’uomo è la via di tutte le religioni». Sì, proprio l’essere umano così imperfetto e fragile, che non sussiste da solo, incapace di seminare futuro quando si chiude a chiave nel proprio guscio, con la paura di uscire. Se lo si mette al centro, prima degli interessi economici e militari, prima dei nazionalismi e della corsa al dominio, si toglie significato finanche alla guerra, la si riduce a vuoto, inutile incubo.

Proprio nei giorni del conflitto in Ucraina e delle vecchie-nuove tensioni (che angosciano Armenia, Azerbaigian, Taiwan, Siria…), il Kazakistan rilancia la lettura credente del mondo. In fondo, il filo rosso che tiene insieme il viaggio del Papa nel Paese asiatico sta proprio nell’andare alla radice delle religioni. Che, se sono proiettate in una dimensione altra, (‘nel’ mondo ma non ‘del’ mondo, per usare un’immagine evangelica), si rifiutano di diventare puntello del potere. Il Pontefice l’ha espresso con chiarezza mercoledì scorso nella capitale kazaka Nur-Sultan: niente di divino può giustificare i fanatismi, i fondamentalismi, le violenze in nome di Dio, l’odio che lo profana. Distorsioni che sfigurano l’essere umano e così facendo svuotano il senso del credere, lo sgonfiano come un palloncino privo di cielo.

E, a rendere più esplicito l’ancoraggio dei suoi interventi, il Papa, ‘leggendo’ la dichiarazione finale dei leader religiosi, ha indicato in tre parole chiave il perimetro entro il quale fedi diverse possono più facilmente camminare insieme. Si tratta di sostantivi, ma vanno letti come verbi al futuro, perché promesse che solo con l’impegno quotidiano, con la fatica del dialogo costante, senza paura, si possono realizzare.

Non a caso ha parlato di pace, il Papa, come «sintesi di tutto», come grido accorato e sogno, soprattutto come opera della giustizia scaturita dalla fraternità. E poi si è soffermato sul ruolo femminile, il Pontefice. Donna ecco la seconda parola, a indicare cura e vita. «Quante scelte di morte – ha sottolineato Francesco – sarebbero evitate se le donne fossero al centro delle decisioni ». E infine a completare il perimetro del campo d’incontro, ci sono i giovani, la terza parola. A loro dobbiamo dare in mano le chiavi del domani che si costruisce già oggi, a partire dalla cura della casa comune, la madre Terra di cui siamo i custodi-principi. Un privilegio che capiamo alla luce della fede, che si offre come lampada sempre accesa per i bisogni del cuore, come lente d’ingrandimento sui passaggi del Signore nella nostra vita. Credere a qualcosa allora serve: a imparare a vedere il mondo con gli occhi di Dio, a eliminare dal vocabolario la parola nemico. Soprattutto a riconoscere in Lui non un giudice o un guerriero vendicativo ma un Padre attento e misericordioso, desideroso di stringere tutti i suoi figli nel medesimo abbraccio.                                          

Di R. Maccioni, da Avvenire 16 settembre 2022

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