Set 102022
 







E’ BEATO IL PAPA DEL SORRISO

Memorabili resteranno i  primi giorni di questo mese di settembre, per la comunità cristiana e per tutti i veneti. Domenica 4, nella piazza San Pietro a Roma, papa Francesco proclama solennemente “beato” un suo predecessore: Giovanni Paolo I, Albino Luciano. Bellunese di Forno di Canale (oggi Canale d’Agordo), morì a 66 anni, non ancora compiuti, tra il 28 e il 29 settembre del 1978.

Era stato eletto Papa appena trentatrè giorni prima. Quello di papa Luciani, uno tra i dieci pontificati più brevi della storia. In casi simili, si usa parlare di “meteora”, per evidenziarne il rapido passaggio. Eppure, mentre l’attraversamento dell’atmosfera determina la distruzione del bolide celeste, fino a non lasciarne traccia, del passaggio terreno del Papa veneto rimane ben più della nostalgia di chi l’ha amato fin dal suo primo apparire. A distanza di quarantaquattro anni, dobbiamo riconoscere la fecondità e la dimensione profetica dei suoi pochi giorni di pontificato. La morte, giunta così misteriosa, pose improvvisamente fine al suo magistero: appena quattro udienze generali, meno di dieci discorsi, due omelie, tre lettere apostoliche, tre messaggi. Al di là delle parole, però, le scelte, gli atteggiamenti, le intenzioni espresse dal “Papa del sorriso”, come popolarmente venne chiamato, avevano in sé la forza prorompente del seme caduto su terra fertile.

Quella che poteva sembrare semplicemente l’immagine nuova di un Papa a ben vedere va riconosciuta come una, almeno iniziale, opera di rinnovamento del Papato stesso. In tal senso, il “sorriso” che fece subito presa – forse anche per la sua novità rispetto al tratto piuttosto controllato e severo di papa Paolo VI -, rappresentava solo un elemento della sua figura, nemmeno così significativo. Secondo qualcuno, che non lo ricordava così sorridente in precedenza, il sorriso di papa Luciani rifletteva un po’ la sua sorpresa e l’imbarazzo per essersi trovato, proprio lui, Papa. Il giorno successivo alla sua elezione, allargando le braccia si rivolse ai fedeli in piazza San Pietro con queste parole: “Ieri mattina io sono andato alla Sistina a votare tranquillamente. Mai avrei immaginato quello che stava per succedere… Io non ho né la sapientia cordis di papa Giovanni, né la preparazione e la cultura di papa Paolo, però sono al loro posto, devo cercare di servire la Chiesa. Spero che mi aiuterete con le vostre preghiere”. E prese il nome Giovanni Paolo, accostando con dichiarata stima i suoi immediati predecessori: il “Papa buono”, Giovanni XXIII, e Paolo VI, i Papi del Concilio, i Papi del rinnovamento della Chiesa. Il successore Karol Wojtyla, pur tanto diverso, convaliderà quell’intenzione chiamandosi Giovanni Paolo II.

Papa Luciani operò scelte coerenti con il cuore e la coscienza del mandato ricevuto. Alcune, assolutamente inedite, trovano l’incomprensione e la resistenza di chi gli sta attorno. Ma chi lo seguirà, mostrerà di cogliere la novità, il vento dello Spirito Santo che gonfia le vele della sua Chiesa.

Per esempio, al posto di usare il “noi” maiestatico, parla in prima persona, dicendo “io”. I successori faranno tutti così. Poi, trasforma il “solenne rito dell’incoronazione di Sua Santità” in una “santa messa per l’inizio del ministero petrino”. Gli ultimi Papi faranno lo stesso. Giovanni Paolo non vuole la tiara, quella speciale corona usata dai papi a partire dal medioevo formata da tre corone simboleggianti il triplice potere del Papa: padre dei re, rettore del mondo, Vicario di Cristo; preferisce celebrare con la mitria dei vescovi. Come faranno i suoi successori. Su pressione dei curiali, accetta di usare la sedia gestatoria, che non usa nella “celebrazione di inizio” e non vorrebbe. Dopo di lui non verrà più usata. Alle udienze, come un buon parroco, parla a braccio e chiama chierichetti per dialogare un po’ assieme. E ciò suscita l’ansia dei collaboratori che vorrebbero il Papa ligio ai testi concordati e i fedeli alla giusta distanza. Grazie a lui, troviamo normale che gli ultimi Papi si mostrino non più come sovrani, ma come pastori vicini al popolo di Dio. Tutto ciò poteva sembrare un’eccezione, uno strappo al protocollo in linea con il “profilo basso” di un cardinale veneto, abituato a contesti “popolari”. In realtà c’era molto di più. Quel modo nuovo di essere Papa, più semplice, umano, paterno, dimesso, era espressione della virtù evangelica dell’umiltà. “Humilitas era il motto episcopale scelto. Una sola parola che riassumeva l’essenziale della vita cristiana e indicava la virtù indispensabile di chi, nella Chiesa, è chiamato al “servizio” dell’autorità. Un servizio da svolgere, come diceva, per grazia di Dio e confidando sull’aiuto dei fratelli e sorelle cristiani. Così il 3 settembre 1978, alla Santa Messa per l’inizio del ministero petrino: <<Con attonita e comprensibile trepidazione, ma anche con immensa fiducia nella potente grazia di Dio e nella ardente preghiera della Chiesa>> [ho] <<accettato di diventare il successore di Pietro nella sede di Roma, assumendo il ‘giogio’>> posto da Cristo sulle “fragili spalle”. Quel modo nuovo di essere Papa, intendeva presentare il volto di un Dio di tenerezza e misericordia. di cui avere fiducia. Disse: “Noi siamo oggetto da parte di Dio di un amore intramontabile. Ha sempre gli occhi aperti su di noi, anche quando sembra ci sia notte. E’ papà; più ancora è madre. Non vuol farci del male; vuol farci solo del bene, a tutti. I figlioli, se per caso sono malati, hanno un titolo di più per essere amati dalla mamma. E anche noi se per caso siamo malati di cattiveria, fuori di strada, abbiamo un titolo di più per essere amati dal Signore” (Angelus, 10 settembre 1978). Quel modo nuovo di essere Papa, nel breve volgere dei trentaquattro giorni del suo pontificato, Giovanni Paolo I l’ha “mostrato” più che “attuato”. Ma mostrandolo ha aperto nuove strade, sulle quali hanno camminato e camminano i suoi successori; da papa Wojtyla a papa Bergoglio. Ciascuno, a modo suo, ha portato a maturazione il buon seme che papa Luciani aveva cominciato a spargere.                                Di G. Lazzara

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