Mar 102016
 

donmarioalbertiniIl vangelo presenta un Gesù chiamato a giudicare il comportamento di una donna considerata peccatrice: il suo giudizio, però, è completamente diverso da quello che attendono i suoi interlocutori, poiché è un giudizio di misericordia e di salvezza. Egli apre alla donna la possibilità di un futuro diverso, di un “dopo” nel quale lei per prima può rinascere a vita nuova. Questa apertura di un futuro è resa possibile dal suo perdono, ed è per questo che tale vangelo è stato proclamato fino ad oggi. Anche nella prima lettura Dio è introdotto come «Colui che apre una strada nel mare, un sentiero in acque impetuose». Dio dunque non condanna l’uomo per la sua fragilità, ma intende continuamente plasmare una nuova umanità. In modo simile Paolo parla di sé nella seconda lettura: conoscere Cristo significa per lui fare esperienza di risurrezione nel corso del suo sofferto ministero, sentire che la forza che proviene da lui lo sostiene nelle prove quotidiane.

Ha scritto sulla sabbia. Non sappiamo se abbia scritto qualcosa in altre occasioni, ma quella volta Gesù ha scritto sulla sabbia. Bastava una folata di vento, o passarci sopra la mano, e le parole scritte sarebbero scomparse. Rimane in noi la curiosità: cosa avrà scritto? Gesù aveva appena detto agli accusatori di quella donna: “chi è senza peccato scagli per primo la pietra”. Gli risponde il silenzio. Silenzio, perché tutte quelle persone sono costrette a guardare dentro di sé, e allora prendono coscienza dei propri peccati. E se ne vanno senza dire una parola, mentre lui scrive ancora sulla polvere. Viene da dedurre che scrivesse nomi e peccati dei presenti, ma non lo sappiamo. Sappiamo solo che non ha steso un foglio di denunce, ma ha scritto parole che potevano essere subito cancellate. Era pietà per tutti i presenti, per gli accusatori oltre che per la donna? Sì. Perché questo è il succo dell’episodio: Gesù è presentato nell’atteggiamento che spiega tutta la sua vita: quello della misericordia e del perdono. La sua missione è quella di rivelare e riversare su di noi l’amore di Dio, e con il suo modo di comportarsi nei confronti della donna accusata e anche nei confronti del gruppo degli accusatori rivela il mistero di Dio misericordioso, dimostra la “dolce pietà di Dio” (Bernanos). Quella dolce pietà che ha avuto il padre accogliendo il figlio che tornava, nella parabola proposta domenica scorsa. E noi, come entriamo in questa vicenda?

All’inizio della scena evangelica c’è molta gente; al termine ci sono soltanto Gesù e la donna perdonata. Noi dovremmo sentirci come quella donna: anzitutto stare davanti al Signore con la nostra realtà di peccatori, e poi stare con lui nella certezza del perdono e del suo aiuto.

Nella seconda lettura, san Paolo dice di se stesso: sono “dimentico del passato e proteso verso il futuro”. E nella prima lettura c’è questa esortazione di Dio: “Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche; infatti io faccio una cosa nuova”.  Siamo esortati anche noi a dimenticare il passato negativo, ad essere protesi verso un futuro di bontà, sapendo che ogni giorno Dio compie qualcosa di nuovo e di bello in noi e per noi.

E’ a noi che il Signore vuole dire: “Io non ti condanno, va’ e d’ora in poi non peccare più”. E il suo perdono fa nuova la persona, perché non è soltanto un cancellare il male compiuto, ma è anche il dono di una capacità nuova ad operare il bene. Dicendoci: “non peccare più” dona possibilità nuove, crea per noi un futuro nuovo. Il sacramento della confessione e della riconciliazione è questo.

Io penso che anche i nostri peccati Dio li scrive sulla sabbia, perché vuole far presto a cancellarli. Vi passa sopra la sua mano quando il nostro pentimento accoglie la sua bontà, quando il nostro cuore si apre alla sua “dolce pietà”.

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