Posso forse io cambiare il mondo?
Posso forse io cambiare il mondo? Forse no, un uomo, da solo, non ce la può fare. E, forti di questa convinzione, tiriamo i nostri remi in barca. Io la mia parte l’ho fatta, ora tocca ai giovani. Lord Robert Baden-Powell of Gilvell, il fondatore dello scoutismo, nell’ultimo messaggio ai suoi ragazzi, tra l’altro, scrisse che «il vero modo di essere felici è quello di procurare la felicità agli altri. Cercate di lasciare questo mondo un po’ migliore di quanto non l’avete trovato e, quando suonerà la vostra ora di morire, potrete morire felici nella coscienza di non avere sprecato il vostro tempo, ma di avere fatto del vostro meglio».
Quel “cercare di lasciare il mondo un po’ migliore di come l’abbiamo trovato” è, oggi, un principio educativo universale. O dovrebbe esserlo. Ma si sa come vanno poi le cose: si nasce incendiari e si muore pompieri. I ragazzi che eravamo, pronti a spaccare il mondo, a metterci sulle spalle tutti i dolori e le ingiustizie del pianeta, non ci sono più. A mano a mano che si cresce il mondo degli adulti e, soprattutto, degli anziani ci rende disillusi, indolenti, indifferenti a tutto e a tutti. Piano piano arriviamo a pensare di aver già imparato tutto quello che c’era da imparare, e questo ci basta e avanza, e il disincanto diventa il metro delle nostre vite. I problemi del mondo? “Io ho provato, ci pensi ora qualcun altro”. È questa l’accidia, uno dei sette vizi capitali. Forse il peggiore perché come il peccato di omissione si nutre di inazione, di passività. Una «malattia dell’anima», ha spiegato Papa Francesco nell’ultima udienza generale di maggio, «che improvvisamente scopre la vanità della conoscenza senza fede e senza morale, l’illusione della verità senza giustizia… l’accidia è la resa alla conoscenza del mondo senza più passione per la giustizia e per l’azione conseguente». Questa è la brutta realtà in cui ci muoviamo. Di fatto, ha aggiunto Bergoglio, «con tutto il nostro progresso, con tutto il nostro benessere, siamo davvero diventati “società della stanchezza”. Pensate un po’ a questo: siamo la società della stanchezza! Dovevamo produrre benessere diffuso e tolleriamo un mercato scientificamente selettivo della salute. Dovevamo porre un limite invalicabile alla pace, e vediamo susseguirsi guerre sempre più spietate verso persone inermi. La scienza progredisce, naturalmente, ed è un bene. Ma la sapienza della vita è tutta un’altra cosa, e sembra in stallo». E, alla fine, «questa ragione an-affettiva e ir-responsabile toglie senso ed energie anche alla conoscenza della verità – ha detto ancora Francesco –. Non è un caso che la nostra sia la stagione delle fake news, delle superstizioni collettive e delle verità pseudo-scientifiche. È curioso: in questa cultura del sapere, di conoscere tutte le cose, anche della precisione del sapere, si sono diffuse tante stregonerie, ma stregonerie colte. È stregoneria con certa cultura ma che ti porta a una vita di superstizione: da una parte, per andare avanti con intelligenza nel conoscere le cose fino alle radici; dall’altra parte, l’anima che ha bisogno di un’altra cosa e prende la strada delle superstizioni». E dunque «se gli anziani, che hanno ormai visto di tutto, conservano intatta la loro passione per la giustizia, allora c’è speranza per l’amore e anche per la fede». Per dirla con Baden Powell, cerchiamo di morire felici, nella coscienza di non aver sprecato il nostro tempo, ma di aver sempre fatto del nostro meglio.
di S. Mazza, da Avvenire del 4 giugno 2022
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