Il Vangelo di Marco apre uno squarcio sulla relazione di Gesù con il Padre. Nell’orto degli olivi Gesù prega dicendo: «Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu». C’è in questa espressione il senso della profonda unione tra Gesù e il Padre nel momento culminante della sua vita. Esplicitiamo questo atteggiamento di Gesù seguendo il racconto dei Vangeli. (Cfr. B. Forte, Gesù di Nazareth. Storia di Dio, Dio nella storia)
I racconti della passione sono ritmanti da una serie di “consegne” successive al cui centro c’è sempre Gesù.
Gesù nella passione è “consegnato” di mano in mano”: da Giuda ai sacerdoti, dai sacerdoti, scribi ed anziani a Pilato, da Pilato alla Croce. Sono tutte consegne perverse che formano un cerchio diabolico. Ma tutte e tre avvengono all’interno della consegna che Gesù fa di se stesso al Padre: una consegna-abbandono, “Padre, a te consegno-affido la mia vita. Così si consuma il fatale consegnarsi al Padre suo e alla sua volontà: è l’ultima di una serie di quotidiane “consegne” che Gesù aveva vissuto “facendo sempre la volontà del Padre”. San Paolo, usando lo stesso verbo “consegnare”, ci fa capire che dentro a questo mistero del dono del Figlio al Padre, ci siamo anche noi: “Questa vita nella carne io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che ha amato me e ha consegnato se stesso per me” (Gal 2,20).
C’è un’altra misteriosa consegna: quella con cui il Padre “consegna” Gesù alla morte, “abbandonandolo”: “Alle tre Gesù gridò molto forte: Eloi, Eloi, lema sabactani? Che significa: Dio mio, Dio mio, perché mi ha abbandonato?”. L’esegesi tradizionale sostiene che essendo qui riportato l’inizio del salmo 22, che è un salmo di sostanziale confidenza in Dio, il grido di Gesù non è un grido che esprime la lontananza di Dio, ma il suo fidarsi del Padre. Secondo un’esegesi più recente è legittimo invece pensare che dietro il grido di Gesù morente ci sia una misteriosa esperienza dell’abbandono del Padre suo, ci sia un’altra “consegna”: quella del Padre che “consegna” Gesù alla morte.
Questa interpretazione sembra sostenuta, tra l’altro, anche da Giovanni: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito…” e da San Paolo: “non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi”. Qualcuno arrivato a parlare, seguendo i mistici, di un grande dolore che è entrato in Dio attraverso la croce. Far entrare la sofferenza nel mistero di Dio non è poi introdurre separazione e rottura vera e propria tra Padre e Figlio. Dal dolore del distacco si può infatti misurare la profondità della comunione: si vede quanto si amano da quanto soffrono nello staccarsi.
La croce del Figlio è un luogo in cui viene rivelato non solo l’amore del Figlio per il Padre, ma anche l’amore del Padre per il Figlio e per noi. E’ importante questo “per noi”. Il Padre “soffre” di consegnare il Figlio alla croce e il Figlio “soffre” l’abbandono del Padre per amore degli uomini. Nella croce si capisce quanto si amano e quanto ci amano
E se Gesù ha provato il silenzio di Dio, il buio e l’abbandono senza che la fedeltà e la presenza del Padre venisse a mancare, allora possiamo dire che tutti i crocifissi della terra, passando attraverso la croce si troveranno faccia a faccia con Padre.
La croce non è l’ultima parola nella vita di Gesù: c’è un’altra misteriosa consegna del Padre. Nella risurrezione il Padre “consegna” lo Spirito a Gesù e, in lui anche a noi. Chi risorge è il Crocifisso-abbandonato. Risorge con i segni della passione, i segni del silenzio del Padre, la traccia del suo oscuro cammino attraverso il buio della morte, fina alla luce della risurrezione. La vita piena del Risorto, attraverso di lui, del Padre, ormai è abitata dai segni della croce, che sono segni della storia dell’amore del Padre e del Figlio e del loro amore per gli uomini.
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