Feb 262022
 

Una Parola che rivela il cuore. A fronte dell’evento di salvezza che è la morte e risurrezione di Gesù, non è sufficiente una fede fatta di “parole”. Le opere sono i veri frutti della fede, dai quali è possibile riconoscere la bontà o meno del cuore dell’uomo.

Commento di don Mario Albertini

A partire dall’ultima frase del brano evangelico, c’è  una bella domanda che dovremmo fare a noi stessi: di che  cosa è pieno il nostro cuore? Forse di un po’ di bontà, ma  anche un po’ di cattiveria; un po’ di speranza e fiducia, e  un po’ di delusione e rassegnazione; un po’ di generosità,  e un po’ di grettezza e mediocrità. Potremmo continuare, trovandoci anche un po’ di  fede in Dio e di amore al prossimo – e molto, troppo  egoismo 

 Ha detto bene il Manzoni: il cuore umano è un  guazzabuglio, e lo paragonava a un orto da tempo  trascurato: qualche ortaggio che sopravvive, ma molte,  molte erbacce. E un altro scrittore, Dostoevskij, definiva  il cuore un campo di battaglia tra il bene e il male, anzi  lui diceva: tra Dio e Satana. 

E allora, come capire il nostro cuore? come sapere  di che cosa è pieno? e come pulirlo dalle erbacce, e  dargli una pienezza di bontà? 

Il Signore dà come criterio quello di esaminare di  che cosa parliamo volentieri: la bocca, dice, parla dalla  pienezza del cuore. E anche nella prima lettura è detto: la parola rivela il sentimento dell’uomo

 Ad esempio: se parliamo volentieri di noi stessi, e critichiamo volentieri il prossimo, è segno che siamo egoisti.  E il nostro punto debole è proprio la critica degli altri. 

Le due immagini che usa Gesù – quella di chi è  cieco ma vuol essere guida a un altro cieco, e quella di  chi vuol togliere il bruscolo dall’occhio del vicino mentre  il suo occhio è oscurato da una trave – ci impongono di  riflettere su noi stessi: per vedere se in noi non  prevalgono l’egoismo e la presunzione. Ma non basta capire il nostro cuore: come lo  possiamo riempire bene? 

Dobbiamo muoverci con bontà verso il prossimo  coltivando una coscienza di rapporto sincero nella vita  familiare, nell’amicizia, nell’impegno per la comunità  cristiana e sociale, sostenuti da un gioioso rapporto con  Dio. Vorrei dire: essere capaci di testimoniare che Dio  non ha sbagliato a darci l’esistenza e la vita. Allora sì che  la pienezza del cuore sarà la bontà. 

Queste parole di Gesù non vanno ascoltate come  fossero soltanto norme di buon comportamento. Certo  sono insegnamenti molto semplici, “norme di vita”  quotidiana, ma sono anche molto importanti e diventano  “fonte di saggezza” (espressioni della preghiera iniziale di  questa Messa) se capiti nella luce giusta. Il Signore parla  ai suoi discepoli, ai quali poco prima aveva proposto di  essere misericordiosi com’è misericordioso il Padre che  sta nei cieli. Vale a dire che la bontà che egli domanda  parte da un fondamento soprannaturale, e diventa  partecipazione della bontà di Dio e un cammino di  risposta alla nostra vocazione, che è vocazione alla vita,  alla vita eterna. 

Ci aiuta in questa visione soprannaturale quello che  scrive san Paolo nella seconda lettura che la liturgia di  oggi ci propone: in Gesù Cristo, Dio ci dà la vittoria sul  male e sulla conseguenza del male che è la morte, vittoria  di cui godremo quando questo corpo corruttibile sarà  vestito d’incorruttibilità e questo corpo mortale  d’immortalità.  E se per essere davvero buoni ci vuole perseveranza  e ci vuole fatica, questa fatica non è vana, non è inutile,  perché è nel Signore.

Sorry, the comment form is closed at this time.