Luoghi e volti della salvezza. Ormai prossimi al Natale, la liturgia della Parola ci introduce al contesto natalizio. La profezia di Michea richiama l’attenzione sul luogo della venuta del nuovo sovrano-pastore, mentre l’incontro evangelico tra Maria ed Elisabetta mette in luce il ruolo della madre di Gesù nel disegno salvifico di Dio.
Commento di don Mario Albertini
Il Natale, cioè la natività di nostro Signore Gesù Cristo, è un atto di libera obbedienza, e quindi di amore, che ha origine nel mistero di Dio e si compie nella storia umana. E’ quello che ci dice la seconda lettura di questa domenica, nella quale è indicato, attraverso un dialogo nel mistero trinitario, il motivo dell’incarnazione. Il Figlio dice: gli uomini hanno dimenticato e rifiutato, con i loro peccati, l’amore di Dio; manda me a rivelare e comunicare il tuo amore, o Padre.
Per questa offerta, la cui attuazione inizia con la nascita umana del Figlio di Dio e raggiunge la sua pienezza con la pasqua di morte e risurrezione, l’umanità è salvata, noi siamo salvati, anche noi siamo accolti da Dio come figli.
Allora celebrare il santo Natale significa adorare questo misterioso fatto che avviene nell’eternità e nel tempo, e con gioia accostarci al Figlio di Dio che ci è presentato bambino nelle braccia della Madre. E chi meglio di Maria può aiutarci in una preparazione immediata al santo Natale?
Da poco abbiamo celebrato la festa dell’Immacolata Concezione, quando abbiamo letto come pagina evangelica il racconto dell’annunciazione; il vangelo di oggi è in continuità: avendo saputo che la sua parente Elisabetta aspettava finalmente un figlio, Maria accorre per assisterla. E’ bello l’incontro tra le due donne, che misteriosamente diventa l’incontro tra i due bambini che esse portano in grembo. La liturgia così ci suggerisce di avvicinarci al Natale come Maria, che si prepara a vivere la sua eccezionale maternità. Ma di preciso: come?
Nel suo saluto Elisabetta, dopo avere esaltato la maternità di Maria (“benedetto il frutto del tuo grembo”) pronuncia questo elogio: “Beata colei che ha creduto”, che ha accolto come vere le parole dell’angelo e su di esse ormai fonda la sua vita. In realtà la cosa più importante e più grande in Maria è la fede, che lei vive in due modi: dice di sì al Signore, e porta in dono agli altri quanto ha ricevuto, cioè il mistero di Dio che si fa uomo in lei. Comunica così anche la gioia: “Appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo”.
Ebbene, lo stesso elogio Gesù lo ha fatto a noi quando ha detto, nelle sue apparizioni agli apostoli: “Beati coloro che pur non avendo visto crederanno” (Gv 20,29). Ma per meritarci questo elogio la fede si deve esprimere anche in noi, come in Maria, nei suoi due aspetti: dire di sì al Signore, cioè permettergli di fare in noi la sua volontà che è volontà di salvezza; e portare in dono agli altri la bontà e la gioia, perché tutti riconoscano l’amore di Dio.
Ci sono tanti modi di celebrare il Natale. C’è il Natale delle spese, dei regali e del panettone: se è solo questo, non ha niente a che fare con la nascita di Gesù. C’è il Natale del presepio, e del sentirsi più buoni, magari nostalgici dell’innocenza dell’infanzia: ma se dura soltanto finché il presepio rimane, è ben poca cosa.
Il Natale vero consiste nel rinnovato incontro con Gesù Cristo; nella riaffermazione della fede in lui, nella disposizione ad ascoltarne la parola, accoglierne l’amicizia e testimoniare tutto questo con la vita.
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