Ago 072021
 

Accogliere il Figlio è conoscere il Padre. Dietro il dono che sostiene la vita del credente, come Elia, si cela sempre la presenza amorevole del Signore che custodisce la nostra vocazione. Il discorso giovanneo raggiunge una delle sue vette indicando nella carne del Figlio, nel suo sacrificio, il vero pane disceso dal cielo, colui che dal Padre è stato mandato per la salvezza del mondo.

Commento di don Mario Albertini

“Basta, Signore, prendi la mia vita!”. Elia, che  Dio aveva scelto come suo profeta, come detto nella  prima lettura era stato minacciato di morte dai potenti  dell’epoca, e per questo era scappato in un luogo deserto,  senza procurarsi provviste di cibo e di bevanda. Dopo una  giornata di fuga, stanco, affamato e scoraggiato, si sentì  alla fine: “Basta! – si disse – ormai devo morire”. E si  addormentò così, all’aperto, sotto una pianta. 

 Ma in sogno un angelo lo esortò così: “Su, mangia,  perché è troppo lungo per te il cammino”, e gli fa trovare  pane e acqua per ristorarsi. Da allora il cammino di Elia  non fu più una fuga, ma divenne un lungo pellegrinaggio  verso il monte su cui Dio era apparso a Mosé, il monte  Oreb. Sappiamo dal seguito che anche Elia avrà un  incontro con Dio su quel monte. 

Non è difficile vedere in questo racconto biblico  un simbolo della nostra vita. Anche a noi viene da dire, in  certi momenti e per motivi diversi: basta, non ne posso  più… e talvolta ci sembra di girare a vuoto, di fuggire non  sappiamo neanche da che cosa. Il Signore però vuole che proseguiamo con fiducia, sentendo la nostra vita come un  pellegrinaggio verso di lui.  

 Per sostenerci e darci forza, anche a noi egli offre un  pane eccezionale, un pane disceso dal cielo. Nel vangelo  di oggi, strettamente collegato con quello delle domeniche scorse, Gesù ripete con insistenza: “Io sono il  pane disceso dal cielo, io sono il pane della vita, io sono  il pane vivo”.  

E lo è in due maniere: anzitutto come Parola che  rasserena, dà coraggio ed energia, perché rivela l’amore di Dio, che è un Padre che non costringe ma attira (interessante questo verbo: è proprio di un padre non  costringere, ma attirare); poi come pane eucaristico, che è  lui stesso: “Il pane che io darò è la mia carne”. Sta a noi  usufruire per il nostro cammino quotidiano verso Dio di  questo duplice pane: la Parola e l’Eucaristia. 

E il nostro cammino va percorso nella carità.  Come? San Paolo prima insegna piccoli gesti di  attenzione fraterna: evitare l’asprezza e la maldicenza,  usare la benevolenza e il perdono; ma poi invita ad alzare  il tiro e dice addirittura: “Fatevi imitatori di Dio!”, e  comportatevi come Cristo che “vi ha amati e ha dato se  stesso per noi”. 

 Imitare Dio sembra una presunzione, eppure è stato  Gesù stesso a dirci: “siate misericordiosi come il Padre  vostro” (Lc 6,36). L’imitazione di Dio consiste quindi  nell’impegno ad essere buoni con gli altri. E Gesù stesso  si è proposto come nostro esemplare: “Vi ho dato infatti  l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi”  (Gv 13,15). 

 In questa imitazione di Dio e di Cristo dunque, vale a  dire con amore fraterno, va percorso il nostro  pellegrinaggio verso Dio, sostenuti dal pane vivo che è  Gesù Cristo. Chi segue Gesù “avrà la luce della vita”.

 

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