Mag 012021
 

Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, santa Madre di Dio: non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova, e liberaci da ogni pericolo, o vergine gloriosa e benedetta.

La ‘maratona’ di preghiera del Rosario a cui, in questo duro e perdurante tempo del Covid, ha chiamato il Papa ha avviato un dibattito interessante ma, a mio parere, non decisivo. C’è chi ha sparato frasi come quella che evoca una sorta di ‘mercanteggiare’ con Dio, che sarebbe «discorde dalla spiritualità contemporanea» e, dall’altra parte chi ha evocato i testi sacri per dire che le grandi figure bibliche, come Abramo in Genesi 18, hanno proprio rischiato di porsi in rapporto con l’Eterno in termini di mercato.

Alla figura abramitica si può accostare quella di Gesù di Nazareth che cerca di evitare il calice della passione e della croce prima di affrontarlo (Lc 22, 39-46). Ciò che fa problema agli amici riformati è il Rosario, ovvero la modalità che la Chiesa cattolica intende assumere in questa ‘maratona’ nel corso del prossimo mese di maggio: quella che Fulvio Ferrario spesso definisce una «specialità della casa», ovviamente cattolica. 

Dal mio punto di vista aggiungo: e meno male che c’è ancora qualcuno che recita il Rosario! Anche perché se con onestà intellettuale e spirituale, che riconosco al mio interlocutore, riflettiamo sulla preghiera del Rosario, scopriamo che si tratta della Parola di Dio che la gente, nella pietà popolare, di cui andiamo fieri, esprime e prega. E, riflettendo, ha ragione chi sostiene che il ‘Padre nostro’ sarebbe il modo migliore per pregare nella fede comune. 

Ma, come tutti noi cattolici sappiamo bene, le decine del Rosario sono appunto introdotte dal Padre nostro. Ancora di più: le ‘Ave Maria’, che i fratelli riformati non amano, per una buona metà sono espressione bibliche, per il resto una invocazione perché la Madre interceda per noi peccatori e nell’ora della nostra morte. Il ‘Gloria’ conclude il percorso per affermare il primato della grazia sulla natura, che la fede cristiana comune riconosce e proclama. Si tratta di una Biblia pauperum la cui efficacia non è meramente estetica ma vissuta nelle voci e nelle persone che la recitano. Si potrà obiettare: ma il Rosario è una specie di ‘mantra’? Ebbene sì.

E che ci sarebbe di male se fosse un luogo di incontro fra l’umano religioso e la fede cristiana? Con timore e tremore riporto un’esperienza personale, che definirei fondativa del mio essere cristiano- cattolico, e anche teologo (ma la teologia è biografia). Ho un unico forte e vivido ricordo della mia infanzia, in un piccolo paese del Sud. Non avevo nessuna voglia di camminare, evidentemente perché rifiutavo questo mondo e le sue brutture. Passavano i mesi e mi rifiutavo di correre il rischio dei primi passi, con grande preoccupazione dei miei genitori. Nel contesto in cui vivevo c’era l’usanza di recitare il Rosario nelle famiglie con la partecipazione dei vicini. 

In una di tali circostanze, mentre la colonna sonora era il mantra delle Avemarie, mi staccai dall’abbraccio di mia madre e mossi i primi passi. Non fu un miracolo, nel senso ordinario del termine (e nessuno lo invocò come tale), ma un’esperienza decisiva, per la quale iniziai il mio cammino nel mondo accompagnato da una preghiera corale, che ancora risuona nelle mie orecchie quando ci ripenso. L’umanità deve ricominciare a camminare, a esporsi, a percorrere le vie della storia.

La Chiesa cattolica la accompagna con un ‘mantra’ che la incoraggia e le offre stimoli e rassicurazioni. Saremo insieme dall’una e dall’altra parte: reciteremo il Rosario non per costringere Dio a risolvere i nostri problemi ma per lasciarci accompagnare dalla sua Parola nel cammino della vita, e al tempo stesso muoveremo i primi passi verso un futuro che ci auguriamo più umano e, proprio per questo, cristiano.

                                   Di G. Lorizio, da Avvenire 28 aprile 2021

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