Chiamati a portare i frutti della risurrezione. Gesù Cristo è la vite sempre feconda. Noi i tralci, chiamati a portare frutto rimanendo in lui, seguendo il suo comandamento e annunciando il suo Vangelo.
Commento di don Mario Albertini
Anche Gesù ha fatto testamento. Come eredità concreta ha lasciato se stesso nell’eucaristia. Ma ha lasciato anche un testamento spirituale, e sono le parole rivolte agli apostoli prima dell’ultima cena con loro.
Ne fa parte pure quanto leggiamo nella Messa di oggi. Io sono la vera vite, egli dice, e voi i tralci. Ma ci sono tralci buoni e altri invece secchi o inutili, sui quali interviene l’agricoltore per eliminare quelli secchi e per snellire e orientare quelli buoni. Ora, se volete essere tralci che portino frutto e non siano da tagliare la condizione è una sola: che siate uniti a me; l’agricoltore, che è il Padre mio, saprà valutare e intervenire. Le parole di Gesù giungono a noi, e ci costringono a chiederci se siamo in vitale rapporto con il Signore come lo sono i tralci con il tronco della vite..
Rimanete in me e io in voi – dice. Il verbo ‘rimanere’ è ripetuto per ben sette volte, in questo brano, e sta ad indicare una relazione viva, una comunione, un vicendevole dono tra Dio e me. Sì, perché anch’io posso donare qualche cosa a Dio: la mia fede e il mio amore!
E Gesù completa: Se rimanete in me, porterete frutto. La forza, l’intensità di quel ‘se’ rinvia alla nostra libertà, è l’appello a un atto di libera risposta. La libertà non si misura dalla quantità dei no che diciamo, ma dalla qualità e finalità dei sì. Ora, quale maggiore nobiltà di un sì detto a Dio? Da esso dipende il rimanere in Gesù e il portare molto frutto.
Ma c’è un criterio che ci permetta di sapere se siamo nel Signore? San Giovanni nella seconda lettura ritorna su un concetto spesso ripetuto: tutto dipende dal fatto se sappiamo amare non semplicemente a parole e con la lingua, ma coi fatti e nella verità. Infatti, dice, chi osserva il comandamento della carità dimora in Dio ed egli in lui.
Una comunione reale con Dio si esprime in una preghiera sentita ed efficace: Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi – è ancora Gesù che parla – chiedete quel che volete e vi sarà dato. Perché allora sapremo domandare quello che è per il vero bene nostro e degli altri.
Ma dobbiamo chiederci: io so vivere davvero in unione a Dio? so pregare nel modo giusto? E se la coscienza ci rimprovera, questo deve essere non motivo di rinuncia, di lasciar perdere, ma una spinta per fondare la nostra fiducia soltanto in Dio, che è più grande del nostro cuore. Cerchiamo la pace del cuore in Dio.
Ho cominciato con il dire che tutto questo fa parte del testamento spirituale di Gesù. Che possiamo riassumere in quel verbo ripetuto: rimanere. Rimanere in Gesù, rimanere in Dio. Che lui ci aiuti.
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