La sofferenza del Figlio. Nell’umanità di Gesù morente sulla croce si compie la profezia di Isaia sul Servo sofferente: colui che «svuotò se stesso» si rivela «veramente» come Figlio di Dio, testimone autentico dell’infinito amore del Padre
Commento di don Giulio Fabris
La lettura della Passione è come la lettura di un dramma infinito, che si ripresenta sotto i nostri occhi. Tutti seguiamo sempre questo racconto attoniti, quasi increduli, stupiti, e la domanda che sicuramente ci portiamo dentro è questa: perché la furia del male si è scatenata contro quest’Uomo che era giusto? Il centurione stesso, contemplando Gesù morire in croce, arriva a dire: “Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!”. Nessuno è riuscito a fermare questa violenza inaudita contro un uomo inerme, che non si è difeso in nessun modo, nemmeno con le parole, tanto da suscitare gli insulti persino mentre moriva in croce: “Ha salvato gli altri, perché non salva se stesso, così gli crederemo?”.
Se ci riflettiamo un attimo, questo non è un dramma accaduto duemila anni fa, ma è il dramma dell’uomo, della storia di tutti gli uomini, segnata dal dolore ingiusto. Proviamo a pensare a tanti ammalati, magari costretti a letto da malattie terribili e dolorosissime: quante persone limitate dalla terribile “malattia” della vecchiaia, che ha anche altri aspetti, come la solitudine, l’abbandono. L’unica risposta possibile è dunque la condivisione, il con-patire, cioè il “patire insieme”. Ed è esattamente quello che ha fatto Dio con noi uomini. Noi diciamo tante volte: “Perché Dio non interviene? Perché Dio non fa? Perché Dio permette? Perché?”. Dio ci offre l’unica risposta possibile, che è la condivisione. Dall’alto della croce dice a tutti i sofferenti, a tutti i crocifissi di questo mondo, questa consolante parola. Egli ci dice: “Io so cosa provi. L’ho provato anch’io, e sono qui con te a dirti che il tuo Dio soffre con te”. Siamo abituati all’idea di un Dio impassibile, che se ne sta lì nell’alto dei cieli, e non si cura delle sofferenze degli uomini. Ma non è così. Il nostro Dio “che-soffre-con-noi”, è un dio che soffre per noi e ci rivela in questa maniera l’unica via che riscatta l’uomo dalla sofferenza e dal male. L’unica parola possibile, che svela all’uomo il senso del suo vivere e del suo soffrire, è la parla dell’Amore. Ecco, dall’alto della croce, quando gli uomini hanno pronunciato l’ultimo insulto – “ha salvato gli altri e non salva se stesso!” – proprio mentre Gesù esalava i suoi ultimi respiri, questa è per noi la lezione della vita: chi pensa a “salvare se stesso” provocherà sempre, inevitabilmente, indicibili sofferenze ai suoi fratelli. Che questo non succeda mai, a nessuno di noi che oggi leggiamo questa pagina del Vangelo!
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