Il sacrificio del Figlio amato. La Trasfigurazione ci ricorda che il compimento della storia della salvezza (Mosè ed Elia) nell’invio di Gesù Cristo, il «Figlio amato», passa attraverso l’autentico sacrificio della croce, prefigurato nel “mancato” sacrificio di Isacco.
Commento di don Mario Albertini
Cosa vuol dire “risorgere dai morti”? Non lo sapevano gli apostoli, ma non lo comprendiamo neanche noi. Eppure la nostra fede ce lo fa affermare: “credo la risurrezione della carne e la vita eterna”. Non comprendiamo, ma questa nostra fede ha come fondamento la testimonianza degli stessi apostoli, dai quali Cristo Risorto si è fatto vedere, ascoltare, toccare.
Ebbene, la Trasfigurazione di Gesù, di cui parla il vangelo, era stata come un’anticipazione, sebbene non subito capita così. Ma proviamo a sintonizzarci con gli apostoli spettatori di quella trasfigurazione – i quali esclamano: è bello per noi essere qui! “L’esperienza che hanno fatto su quel monte appare loro bella della bellezza di Dio. E’ detto: Venne una nube che li coprì con la sua ombra, e dalla nube uscì una voce: Questi è il figlio mio, l’Amato; ascoltatelo!
“La nube e l’ombra sono figura dello Spirito santo; la voce è quella del Padre, e Gesù è il Figlio, l’Amato. E’ dunque la Trinità che si manifesta ai discepoli.
“La bellezza cui fa riferimento l’esclamazione di Pietro è dunque quella della Trinità divina.” (C. Martini) Noi pensiamo alla bontà, alla grandezza di Dio; ma pensiamo mai alla sua bellezza? Proviamo.
Il racconto della trasfigurazione è racchiuso dalla ripetizione dell’aggettivo solo. In apertura è detto: “Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li portò sopra un monte alto, in un luogo appartato, loro soli”.
Gesù li tira fuori dalla confusione, perché soltanto nel raccoglimento è possibile un contatto forte con il soprannaturale. Ma quanto si è sperimentato nel raccoglimento è una ricchezza spirituale che va portata nella vita di ogni giorno. Gli apostoli infatti scendono dal monte e riprendono come prima a seguire il loro Maestro, ma con una consapevolezza nuova. Per noi significa che dobbiamo riuscire a fare un collegamento tra la preghiera e l’attività quotidiana, far sì che la preghiera abbia un reale influsso nella vita.
Alla fine del racconto è ancora detto: “Non videro più nessuno, se non Gesù solo con loro”. Quando i tre apostoli scendono dal monte non ci sono più Mosè ed Elia, i grandi personaggi dell’Antico Testamento; non c’è più la nube che li aveva avvolti nell’ombra, segno della gloria di Dio; Gesù non è più trasfigurato… ma c’è il Gesù di ogni giorno, che cammina con loro, parla con loro, vive con loro e come loro. Che ci sia solo Gesù, non è una delusione, ma è la scoperta che quel Gesù lì è il Figlio di Dio e che la sua parola è parola di vita: “Ascoltatelo!”. Gesù solo per noi significa saper orientare tutto a lui, fare di lui il centro di tutto. E’ lui l’unico vero nostro Maestro e Salvatore. Lui solo.
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