Una fragilità custodita da Dio. Il libro di Giobbe ci richiama alla fragilità e a “l’insostenibile leggerezza” della nostra vita. Tuttavia, i gesti d’amore di Gesù, narrati nel vangelo, ci rivelano una presenza salvifica e benevola di Dio che sempre ci custodisce e ci dona una nuova speranza.
Commento di don Mario Albertini
Gesù dice agli apostoli: andiamo altrove. Noi non vogliamo che nei nostri confronti dica: vado altrove. E di fatto il Signore non va lontano da noi: è con noi, qui e sempre. E la pagina del Vangelo ci conferma che è con noi perché lui è presente là dove si soffre e con chi prega.
Anzitutto la presenza del Signore là dove si soffre. Tutto il Vangelo ci dice che Gesù è là dove c’è la sofferenza fisica o morale: gli portano i malati e lui li guarisce; gli si avvicinano i peccatori e lui dona il perdono. E nell’episodio di oggi c’è quel significativo gesto di Gesù: la fece alzare prendendola per mano. Prendere per mano è un gesto di comprensione, di aiuto, di incoraggiamento, e Gesù lo compie altre volte, con semplicità. Perché lui è in contatto con il dolore altrui, finché anch’egli dovrà affrontare una passione e una morte violenta sulla croce.
Questo ci insegna che la sofferenza non è voluta direttamente da Dio, e tuttavia essa entra nel misterioso disegno della creazione e della redenzione; noi dobbiamo scorgere sempre presenti, nonostante tutto, la misericordia e l’amore di Dio, e con questo sentimento accettare le nostre sofferenze e saperci chinare sul dolore altrui per alleviarlo.
E poi la preghiera. All’inizio nella pagina del vangelo è detto che Gesù era stato alla sinagoga, luogo del culto ebraico, e alla fine che si ritira in un luogo solitario per pregare. Per Gesù la preghiera fa parte del ritmo regolare della vita. Così dev’essere anche per noi, ricordando che la preghiera non è tanto ripetere formule, quanto trovare momenti di contatto con il Signore per dirgli il nostro grazie, per chiedergli perdono e aiuto, per lodare la sua bontà onnipotente. Le formule, le preghiere che sappiamo a memoria, sono molto belle e valide se però ci mettiamo l’adesione interiore.
La preghiera per eccellenza è la Messa domenicale, che non ha da essere questione di abitudine, ma partecipazione sempre rinnovata nella fede e nella riconoscenza. E dalla Messa dobbiamo trarre la capacità di riconoscere la presenza del Signore anche fuori della Chiesa, soprattutto in famiglia.
La conclusione del brano evangelico ci suggerisce una terza cosa, collegata con le due già ricordate. E’ detto che gli apostoli dicono a Gesù: Tutti ti cercano. Ebbene: noi lo cerchiamo? Dobbiamo cercarlo non per chiedergli dei miracoli, ma per trovare lui e la salvezza dal male che lui ci dona. Cercarlo, o piuttosto lasciarci trovare da lui accettando la sofferenza e con la preghiera.
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