Gen 092021
 

La vedo con le sue capre, i suoi formaggi, il tiepido e nutriente latte caprino. La vedo soprattutto col suo sorriso coinvolgente, la sua positività, malgrado una vita dura. Vedo Agitu Ideo Gudeta, etiope costretta ad essere rifugiata e poi – per scelta – pastora in Trentino, uccisa il 29 dicembre

Il Cristo, il Figlio di Dio, scelse di nascere tra i pastori. L’Angelo li chiamò a raccolta e loro arrivarono portando doni a quel piccolo – grande uomo, Dio incarnato. Mi piace pensare che tra quei pastori maschi, che la tradizione dei presepi rappresenta con barbe di tante sfumature, quest’anno ci sia stata una pastora, una giovane donna, dai bellissimi tratti, originaria del Corno d’Africa. 

La vedo con le sue capre, i suoi formaggi, il tiepido e nutriente latte caprino. La vedo soprattutto col suo sorriso coinvolgente, la sua positività, malgrado una vita dura, ancor più dura della dura vita del pastore. Vedo Agitu Ideo Gudeta, etiope costretta ad essere rifugiata e poi – per scelta – pastora in Trentino, uccisa il 29 dicembre. La vedo donare al Bambinello la sua breve ma intensa vita nel Presepe di questo 2020. Una vita lontana dalla sua terra di origine ma ugualmente vissuta con convinzione e generosità.

Agitu mi disse che in Trentino, nella valle dei Mocheni, aveva trovato il suo paradiso. Per dieci anni lo ha vissuto con fantasia, solarità, felicità. E non a caso aveva chiamato la sua azienda “La capra felice”. 

Lei che era stata cacciata dalla violenza e dall’intolleranza politica dal suo Paese, aveva costruito una nuova vita fatta di capacità di integrazione e di proposta, di imprenditorialità nuova e antica allo stesso tempo. Fatta di rispetto dell’ambiente, di amore per una terra (“Mi sono innamorata di questo territorio”, mi aveva confessato). La terra trentina, dopo i primi dubbi e le prime incomprensioni (una donna? una pastora? tutta sola?) l’aveva accolta, apprezzata, quasi adottata.

Un “trentina dalla pelle colorata ma dalla parlata valligiana, non chiusa ma desiderosa di apprendere e di insegnare, soprattutto ai giovani. 

Più che integrazione. Vera inclusione. Convivendo con gli uomini e con gli orsi, che del Trentino sono simbolo, nel bene e nel male (non per lei…).

Agitu, parlando di immigrazione, diceva che era “un valore aggiunto” per il Paese ospitante, ma anche “uno scambio di culture”. 

Così lei recuperava dall’abbandono terre incolte e capre quasi estinte, da pastora laureata in sociologia, un po’ etiope e un po’ mochena. E recuperava anche gli immigrati che venivano a lavorare da lei, anche chi le ha tolto la vita. 

Cittadina nel Sud e del Nord del Mondo, realizzando un vivere comune, insieme, Il sogno di un “noi” tra uomini e terra, lei che per difendere i diritti degli agricoltori etiopi era diventata un “soggetto pericoloso” per il regime, e che in Trentino aveva scelto col suo lavoro di difendere un ambiente e una tradizione che non erano suoi per eredità, ma per intelligenza e adesione.

Apparentemente. Agitu, cittadina del Mondo, profuga e costruttrice, provava a reinsegnare ai giovani trentini le attività dimenticate o scartate perché ritenute vecchie e umilianti. Il suo “orgoglio” era vedere i bambini mungere le sue capre, ma anche i ragazzi che volevano lavorare con lei o le chiedevano consigli, o la fila di chi voleva comprare i suoi prodotti, buonissimi e con qualcosa in più. Questo era il “paradiso” che la pastora Agitu aveva scoperto e vissuto, purtroppo per troppo pochi anni. In questo Natale così difficile e duro, lei lo ha sicuramente portato davanti al Bambinello, sorridendo con i suoi grandi occhi neri, e Lui ha sicuramente ricambiato quei doni e quel sorriso, aprendole le porte di un Paradiso eterno.

A chi l’ha conosciuta resta il dolore per la perdita e per quello che ancora avrebbe potuto fare. Ma deve restare anche l’impegno a non disperdere quanto Agitu aveva costruito in questi pochi anni. Le sue capre, le sue idee, le sue realizzazioni devono continuare a camminare, sui pascoli della valle dei Mocheni e nelle gambe dei giovani che lei tanto amava. La memoria della pastora Agitu deve avere ancora il concreto sapore dei suoi formaggi e di una convivenza felice. E magari una bella statuina nel presepe del prossimo Natale 2021, una “pastora nera” con le sue capre trentine e il suo sorriso figlio del mondo.

Da Avvenire, di AM. Mira

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