Al servizio dell’eccedente bontà di Dio. La liturgia della Parola ci invita a riconoscere la sovrabbondante bontà di Dio. Come cristiani siamo chiamati a metterci al servizio di questa bontà, senza preoccuparci del “compenso”, ma gioiosi per la chiamata di colui che è semplicemente «buono».
Commento di don Mario Albertini
Avremmo protestato anche noi, come quel tizio, per il modo di fare di quel datore di lavoro. Nella vita sociale e in particolare nei contratti di lavoro i rapporti devono essere regolati dalla cosiddetta giustizia distributiva; soprattutto in materia economica. Però la parabola insegna che ci sono ambiti che possono e devono essere caratterizzati dalla gratuità, per esempio l’amore, l’amicizia, la bontà. Questi ambiti escono dall’universo del calcolo, e formano quello del gratuito, cioè del voler bene e del fare il bene senza pretendere un corrispettivo. Gratis, appunto. E’ bello rendersi conto che quanto si fa per amore, è già una ricompensa.
Soprattutto nella vita spirituale, ed è questa che interessa a Gesù nell’esporre la parabola. Nei rapporti con Dio il motivo del nostro agire non ha da essere l’attesa di una ricompensa, quaggiù o nell’aldilà, anche se questa speranza ci è di sostegno – ma capire che essere in rapporto con il Signore è bello.
E’ questo il significato della domanda con cui termina la pagina del vangelo: “Amico, sei invidioso perché io sono buono?”.
Il padrone della vigna al bracciante, che mormora contro di lui, chiede: La tua è esigenza di giustizia, o non è piuttosto invidia verso gli altri, e quindi incomprensione nei miei riguardi perché li tratto bene?
Dalla parabola arriva a noi l’invito a riconoscere che Dio è stato ed è buono con noi, e perciò ad accettare ed essere contenti che sugli altri si riversi quella stessa bontà. Io ho troppo ricevuto da lui, per protestare perché si dimostra buono verso gli altri.
A rifletterci bene, tutto dipende da come pensiamo Dio. Lo pensiamo come un padrone esigente, o come un vero Padre? Gesù ce lo ha rivelato così: Padre suo, e Padre nostro. Non lo chiamiamo così nella preghiera?
Ma la parabola ci dice pure che Dio si aspetta che lavoriamo per lui e con lui, e che la sua proposta di lavoro la rinnova in vari momenti della vita,, ma occorre impegnarsi prima che la giornata finisca. E’ rischioso attendere l’ultima ora. Esorta il profeta (nella prima lettura): “Cercate il Signore mentre si fa trovare”, perché può avvenire che, se non c’è riscontro da parte nostra, a un certo punto si tiri indietro per sempre.
Cercate il Signore.
Cercare è un verbo bellissimo. Tutti siamo alla ricerca della gioia, della bellezza, della verità, dell’amore; se lo facciamo con cuore sincero e pulito significa che stiamo cercando Dio. E lui, che è buono, si lascerà trovare.
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