Lug 112020
 

(fotosearch_k14763069Da Avvenire: di F. Camon) – Non c’è  giornale che non parli dei 15 bambini nati nello spazio di 24 ore nell’ospedale di Cremona: in una zona dove aveva trionfato la morte, installandovi un focolaio di covid, che aveva dato alla città il quinto posto, dopo Milano Bergamo Brescia e Pavia, per numero di decessi da coronavirus, adesso l’altro, ieri, ha trionfato la vita, segnando il record di bambini venuti al mondo. Sono dieci bambine e cinque bambini, tra cui due gemelli. C’è poco o nulla da aggiungere all’esplosione di gioia dei genitori e dei sanitari, tutti in attesa dentro o davanti alla sala parto.

La nascita di un bambino è un evento portentoso. Dunque tra le ore 15 di venerdì scorso e le ore 15 di sabato, nel piccolo spazio della stanza di degenza dell’ospedale  di Cremona, si sono verificati uno dopo l’altro, a catena, quindici eventi portentosi. Adesso ci sono quindici bambini, ma davvero solo “adesso”? E’ una visione “maschile” della nascita, della nascita l’uomo (inteso come maschio) sa e capisce molto poco. In realtà le madri di quei quindici bambini (quattordici madri, perchè due sono gemelli) hanno impressa nella memoria tutta la biografia pre-natale dei figli, e quella biografia è fatta di comunicazioni, richiami e risposte, messaggi e reazioni, allarmi e consolazioni, tutto un intricato vortice di relazioni che avranno, hanno già, un’importanza enorme nella vita palese, che adesso comincia, dei nuovi nati. Noi chiamiamo la nascita “il lieto evento”, me è lieto dal punto di vista nostro, che quell’evento sappiamo che cos’è e lo aspettiamo ansiosi, premurosi e collaborativi.

Ma il nascente non sa cos’è, non sa cosa gli capita, per lui venire nel mondo, dello spazio pre-natale ovattato e silenzioso  nel quale sta benissimo, uscire dalla penombra nella piena luce, tra barbagli e lampi accecanti, è una rivoluzione smisurata: secondo Freud un trauma così spaventoso che poi in tutta la vita non avrà l’uguale. Forse le grida parossistiche e ossessionante di quel panico, nella vita dell’ormai nato, ogni crisi di panico successiva sarà un’inconsapevole riedizione di quel panico primitivo.

Ho scritto un romanzo che ha per protagonista un non-ancora-nato e per tempo il tempo della pre-nascita. Mi sono documentato. Ho scoperto che in certi istituti di guida al parto le future madri vengono istruite a comunicare con i figli, cantando, suonando, cercandoli con le dita, parlandogli in altre lingue, più musicali, più adatte a trattenere l’attenzione. M’è rimasta nella memoria questa cantilena in francese: “L’etoile se pro-mène / au- dessus de ton lit. / Regarde! Elle t’em-mène / dans le bleu de la nuit”. Quando ancora non sono nati, i bambini sono dappertutto nell’universo, più in cielo che in terra, e le stelle gl’interessano più ancora degli alberi: “Tournent, tournent les étoiles”, / à la fête, à la fête, / tournent, tournent les étoiles / à la fete du ciel”. Se la madre cammina sotto la pioggia, il nascituro può spaventarsi per il martellamento delle gocce d’acqua, ma lei lo calma spiegandogli il fenomeno: “Plic, ploc, plic, ploc, / quand il pleut, / les gouttes de pluie / glissent, glissent sur les parapluies”.

I nascituri vengono monitorati e seguiti nei movimenti, e così s’è scoperto che, se la madre ascolta musica classica, il piccolo muove le mani, se ascolta musica rock muove i piedi.

 

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