Papa Francesco ci costringe continuamente ad una esegesi dei segni cui non siamo molto preparati. Mi riferisco non tanto alle parole dei suoi discorsi e dei documenti, quanto piuttosto ai gesti e segni che egli pone con una spontaneità disarmante. E’ in questa prospettiva che va compresa la scelta dell’apertura della porta santa a Bangui (Africa).
“Bangui diventa la capitale spirituale del mondo”. Con queste parole Papa Francesco il 29 novembre, aprendo nella Repubblica centrafricana la porta della cattedrale, inizia il Giubileo della Chiesa universale.
La Misericordia di Dio raggiunge il cuore dei popoli dimenticati. “viene in anticipo, dice Francesco, in questa terra che soffre da diversi anni la guerra e l’odio, l’incomprensione, la mancanza di pace”. Francesco non si è limitato a compiere il gesto rituale dell’apertura della porta. Proprio da quella chiesa ha lanciato un monito alla cattolicità e al mondo intero quando ha detto: “Gesù ci insegna che il Padre celeste ‘fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni’. Dopo aver fatto noi stessi l’esperienza del perdono, dobbiamo perdonare. Ecco la nostra vocazione fondamentale: ‘Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste’. Una delle esigenze essenziali di questa vocazione alla perfezione è l’amore per i nemici, che premunisce contro la tentazione della vendetta e contro la spirale delle rappresaglie senza fine. Gli operatori di evangelizzazione devono dunque essere prima di tutto artigiani del perdono, esperti della misericordia”.
La moderna esegesi insegna che il con-testo è importante almeno quanto il testo e pronunciare quelle parole a Bangui, non è la stessa cosa che dirle in una chiesa confortevole e riscaldata di Roma durante la messa domenicale degli habitué. Questo diventa determinante tanto per l’autenticità quanto per la credibilità del messaggio. Una misericordia vissuta e praticata prima ancora che predicata.
Con fine tempistica il Papa sceglie di iniziare ufficialmente l’anno giubilare del 50° della chiusura del Concilio Vaticano II. Quasi ad indicare che anche quella non era una porta che si chiudeva ma piuttosto la volontà dei padri conciliari di spalancarla definitivamente sul mondo. Con un atteggiamento nuovo, con un diverso stile eccelsale di apertura, appunto. Per questo la porta di San Pietro si apre come un monito per dire a tutti che quel Concilio non giace polverosamente nei suoi documenti ma vive in quello stesso spirito nuovo con cui era stato inaugurato e donato. Per questa ragione è decentralizzato in tutte le chiese locali, per questo è centrato sulla misericordia e per questo è occasione di revisione e conversione al dialogo, all’incontro e al perdono.
E in questo tempo in cui le porte troppo spesso tendono a chiudersi, si costruiscono muri, si fortificano le frontiere, si erigono reti di filo spinato, si respingono coloro che bussano alle porte del nostro benessere chiedendo pane e dignità, aprire la porta della chiesa universale significa proporre con un segno la scelta dell’accoglienza. Con lo stesso stile di un Dio che per venire al mondo bussa umilmente alla porta della vita di una donna. Ecco allora la novità di un Giubileo che sa parlare anche laicamente alla politica, all’economia, ai potenti e agli umili, ai credenti di tutte le fedi e ai non credenti, ai vicini e ai lontani. Una chiesa che sceglie di mettersi sapientemente e umilmente al servizio di un progetto alternativo di umanità. Ma le porte non si varcano solo in entrata ma anche in uscita e l’invito costante di Papa Francesco alla chiesa è ad uscire dai confini rassicuranti del tempio per raggiungere le strade della vita con tutte le sue fatiche e le sue contraddizioni. Il “giubileo diffuso”, aperto profeticamente da Papa Francesco rappresenta l’invito rivolto a tutti i credenti a varcare le porte delle chiese anche in direzione di uscita ed è questa, in fondo, la vera sfida.
Sorry, the comment form is closed at this time.