Mag 022020
 

donmarioalbertiniIo sono la porta della salvezza. L’immagine del pastore, che Gesù applica a se stesso, ci conduce a guardare a lui come guida. È un’immagine di tenerezza e di attenzione, attraverso la quale intravediamo la nostra destinazione, ossia la salvezza che ci viene offerta in dono
Commento di don Mario Albertini
  Strano paragone, questo della porta. Quando Gesù dice: io sono la luce del mondo, o io sono il pane di vita – capisco che sono definizioni che pongono di fronte al mistero della sua persona. E anche quando dice di essere il guardiano dell’ovile, l’unico che può aprire la porta, capisco abbastanza questo paragone.


  Ma quando dice: io sono la porta, attraverso la quale entrare o uscire, mi sento un po’ spiazzato. Però comprendo che con queste parole afferma di essere lui il solo intermediario che dà l’accesso alla salvezza, il solo mediante il quale l’amore di Dio giunge agli uomini. Infatti Gesù fa un’altra stupenda affermazione: io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza. La vita di cui vuole renderci partecipi è la sua vita di Figlio di Dio, e alla luce di questa affermazione mi va bene anche il paragone della porta.
  Ma l’immagine che domina la pagina del vangelo è quella del pastore – immagine che noi abbiamo sottolineato con il salmo responsoriale affermando: il Signore è il mio pastore.
  E c’è un’altra frase che merita particolare attenzione: il pastore – dice Gesù – “chiama le sue pecore una per una” – le chiama per nome. Questa frase ha dato motivo a fissare in questa domenica la giornata di preghiera per le vocazioni.
  Vocazione è lo stesso che chiamata. Nella Bibbia più volte Dio è detto “il chiamante” e gli uomini sono detti “i chiamati”. Già all’inizio della storia umana nella Bibbia è detto che “Dio chiamò l’uomo”, Adamo, il quale si nascondeva dopo il peccato.
  Ebbene: la chiamata, la vocazione, riguarda tutti, ed è personale: chiama uno per uno. A che cosa chiama? Ci ha chiamati all’esistenza e ad essere cristiani, di continuo ci chiama ad accogliere il suo amore e a svolgere nella vita il proprio compito. Non si tratta di una strada già predisposta, non è un destino, ma un appello a cui dare una risposta nella libertà.
  Tutti dobbiamo chiederci: a che cosa mi chiama il Signore?  La risposta consiste nell’interpretare le circostanze della vita, le nostre capacità, le propensioni interiori, anche i condizionamenti esterni, e, considerando tutto questo, decidere: fare le scelte forti relative allo stato di vita, ma anche le scelte spicciole di ogni giorno, consapevoli che anche nelle piccole cose è a Dio che dobbiamo dire di sì: sia fatta la tua volontà.
  Oggi peraltro siamo invitati in particolare a riflettere su e a pregare per le vocazioni a diventare preti, alla vita religiosa, ad ogni tipo di consacrazione a Dio.
  Non è un problema che riguarda solo chi è chiamato a questo, ma tutti dobbiamo sentirci coinvolti, e pregare perché ci sia la disponibilità a rispondere positivamente. Si tratta di un atto di speranza, fondata sulla certezza che anche nel mondo di oggi, così materialista, la voce di Gesù continua a risuonare nei cuori, e che i cuori sono ancora capaci di generosità e di fedeltà.

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