Caro Direttore, dall’invito che papa Francesco fece nel 2013 nella sua visita al Centro Astalli ad aprire i conventi per accogliere “la carne di Cristo che sono i rifugiati” è nato un progetto nuovo e innovativo chiamato “comunità di ospitalità” con cui si mette in atto un’accoglienza dei rifugiati. In questi anni, nella sola Roma, diverse centinaia di migranti forzati sono stati accolti da istituti religiosi maschili e femminili con modalità anche molto diverse tra loro, in sintonia con i diversi carismi e disponibilità delle strutture. Sono convinto che un primo “miracolo” fatto dai migranti è stato quello di far collaborare congregazioni diverse, farle incontrare, farle uscire dalla propria autosufficienza e farle confrontare sul significato profondo della parola accoglienza. Il lavoro con i migranti è stato in questi anni un bell’esempio di collaborazione, di condivisione, di unità attorno al Cristo vivo oggi in mezzo a noi, soprattutto in questi nostri fratelli più fragili.
Diverse confessioni cristiane in Italia e in Europa hanno collaborato tra di loro superando visioni storiche per ospitare e difendere i rifugiati. Pensiamo solo in Italia all’esperienza dei “corridoi umanitari”, ma anche alle numerose esperienze di accoglienza e integrazione che tanta parte di Chiesa fa da molti anni. “Ci trattarono con gentilezza”, (citazione degli Atti 28,2, che si riferisce al naufragio di Paolo nell’isola di Malta) – riesce proprio a cogliere alcuni aspetti belli del qui e ora, come segni dei tempi per promuovere e alimentare il cammino dell’unità. “L’ospitalità è una virtù altamente necessaria nella ricerca dell’unità”. E’ una condotta che ci spinge a una maggiore generosità verso coloro che sono nel bisogno. Le persone che mostrarono gentilezza verso Paolo e i suoi compagni non conoscevano ancora Cristo, eppure è per la loro “gentilezza” che un gruppo di persone divise viene radunato in unità. La nostra stessa unità di cristiani sarà svelata non soltanto attraverso l’ospitalità degli uni verso gli altri, pur importante, ma anche mediante l’incontro amorevole con coloro che non condividono la nostra lingua, la nostra cultura e la nostra fede”.
L’azione unificatrice operata dai migranti, azione che crea ciò che opera, cioè ascolto e accoglienza, di cui in questi anni vediamo concretamente i segni, è un frutto chiaro dello Spirito. Le situazioni di crisi della Storia, sono quelle dell’umanità in cammino, riescono sempre a trasformare il male in bene, la sofferenza di tanti, in luogo di incontro, riconciliazione, pace, unità, mostrando sentieri nuovi. Ecco perché come cristiani non dobbiamo assecondare quelle voci che sulle migrazioni insinuano il pensiero della divisione, del muro, dello scontro degli uni contro gli altri. “Oggi molte persone affrontano gli stessi pericoli nello stesso mare. […]. Anche le loro vite sono in balìa di forze immense e altamente indifferenti, non solo naturali, ma anche politiche, economiche e umane. L’indifferenza umana assume varie forme: l’indifferenza di coloro che vendono a persone disperate posti in imbarcazioni non sicure per la navigazione; l’indifferenza di persone che decidono di non inviare gommoni di salvataggio, l’indifferenza di coloro che respingono i barconi di migranti.
Accogliere con gentilezza, con umanità, crea comunità accoglienti dove si può vivere uniti nella diversità. I rifugiati ce lo insegnano da tempo: camminare al loro fianco ogni giorno è scuola in cui si impara ad aspettare e rispettare tutti, in cui giorno per giorno si cerca la via per la riconciliazione, che è sempre via di pace.
Di C. Ripamonti, Sacerdote, presidente Centro Astalli, servizio dei Gesuiti per i rifugiati in Italia
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