Gen 042020
 

downloadL’antica storia del Natale ha tutti gli ingredienti di una favola. C’è un lontano imperatore che vuole conoscere il numero dei suoi sudditi (perché i grandi numeri rafforzano il potere), ci sono folle costrette a mettersi in cammino verso i luoghi di registrazione e c’è una donna che mette al mondo un figlio in condizioni di cruda povertà. Quella nascita, avvenuta agli estremi confini di un impero, non ha avuto al momento una risonanza pubblica, ma non può essere favola un Figlio che cambia la direzione del mondo.

I pastori, uomini a contatto con le bestie e per questo ultimi della società, ricevono luci e voci dell’Alto e – come nuovi sapienti e profeti – vengono promossi a testimoni ufficiali di un evento a lungo atteso. I troni dei despoti, a cominciare da quello del sanguinario Erode, cominciano a vacillare. I poveri del mondo, fratelli del Bambino deposto nella mangiatoia,  stanno per essere proclamati “preferiti di Dio”. Quelli che oggi contestano la festa del Natale, dicono che essa ha perso il suo vero significato ed è stata ridotta a consumo e spreco. Un po’ di ragione l’avrebbero, se fosse proprio così. Ma, se guardiamo con occhi attenti, ci accordiamo che l’antica storia del Natale si ripete con poche varianti nel tempo presente ed è ancora la chiave per capirlo. Anzitutto nei suoi aspetti negativi. I padroni del mondo (anche se alcuni reucci sbraitano) sono diventati anonimi: sono le multinazionali dei metalli, del petrolio, delle armi. Sono loro che fanno muovere i popoli, impoveriti dal commercio ingiusto o messi in fuga dalle guerre. I numeri delle statistiche, risorsa che potrebbe avere sagge applicazioni, vengono usati per miseri calcoli, egoistici e sbagliati. Il governo ungherese, per non aprire ai lavoratori stranieri, chiede ai suoi cittadini 40 giorni annuali di lavoro gratuito. Nelle regioni italiane che hanno rifiutato di accogliere i profughi dalla Libia, quest’anno tanta frutta è marcita sulle piante per mancanza di raccoglitori. Ma ci sono anche aspetti positivi. C’è una gioventù che scende pacificamente in piazza per chiedere che i politici facciano meglio il loro dovere e non diffondano odio e disprezzo. Ci sono volontari che servono ogni giorno alle mense e agli alloggi per senzatetto. Ci sono gruppi di persone che organizzano la solidarietà e risanano i quartieri degradati. Ci sono imprenditori che costruiscono giustizia coi loro collaboratori. Ci sono politici che servono la loro gente e non se ne servono. Ci sono persino alcuni che si dicono atei, ma difendono Gesù come modello umano insuperabile e si rallegrano quando viene proposto di proclamare beato don Oreste Benzi, che scendeva ogni sera nelle strade di Rimini per recuperare le donne schiavizzate.

Non è dunque stata inutile quella nascita avvenuta a Betlemme duemila anni fa. E non è inutile averla celebrata di nuovo. Quella nascita si ripete ogni giorno in tante forme: dove c’è un essere umano, lì c’è il Cristo Salvatore. “Venne tra i suoi”, dice il Vangelo di Giovanni. Tocca  a noi, che come credenti siamo “i suoi”, riconoscerlo e accoglierlo.

 

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