Gen 042020
 

 

donmarioalbertiniLa Parola si è fatta carne. Se riconosciamo la sua presenza nell’azione e nel destino di Gesù, abbiamo la possibilità di diventare figli di Dio: il Natale esprime allora anche la nostra vera vocazione e missione.

Commento di don Mario Albertini

Per entrare in certi ambienti riservati occorre avere un lasciapassare, o conoscere la parola d’ordine. La grotta di Betlemme non è un ambiente riservato, non c’è neanche una porta che ti tenga fuori. Eppure anche per entrare lì ci vuole un lascia passare, e questo consiste nel credere che il Bambino che giace lì dentro è il Figlio di Dio fatto uomo per amore verso di noi.

In altre parole, la fede nel suo amore, credere che lui, Dio, ti vuol bene, questo è il lasciapassare necessario. Se ce l’hai, entra nella grotta per adorare e ringraziare; se invece ti manca, aspetta lì fuori, ma sappi che lui è lì anche per te, nessuno è estraneo al suo amore.

Forse lo incontrerai adulto e lo vedrai morire sulla croce. La greppia e la croce, espressioni di un unico atto di amore. Il Verbo si è fatto uomo, l’eterno è entrato nel tempo, il Figlio di Dio ha rinunciato a tutte le sue qualità divine tranne una: l’infinito amore. Con il dono del suo Figlio eterno, Dio ha detto e dice a ciascuno di noi la parola più profonda e più bella anche se appare incredibile: io – dice Dio – ti voglio bene, voglio il tuo bene, ti amo, sono tuo Padre. Siamo capaci di rispondere, con tremore ma con fiducia: anch’io ti amo da figlio? In questa Messa ci è stata proposta una pagina evangelica difficile, ma sublime, che suscita un duplice stupore. Stupore per l’avvenimento che vi è affermato: il Verbo che è Dio, che è la luce della verità e la vita, questa Parola eterna “si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”. Sì, il Verbo è diventato l’Emmanuele, Dio con noi. E stupore anche per il risultato di questo avvenimento: “A quanti lo hanno accolto – tra questi dovremmo esserci anche noi – ha dato potere di diventare figli di Dio”. In questo avvenimento, che è l’Incarnazione del Verbo, e in questo risultato, che è il poter diventare figli di Dio, consiste la verità del Natale. Come corrispondere oggi, domani, nei prossimi giorni, nel prossimo anno? Facciamo ancora in tempo questa sera ad augurarci “buon Natale”, ad augurarci cioè a vicenda: che il Natale ci renda tutti davvero più buoni. Però il Natale vuole una risposta più impegnativa. Sarebbe negarne il significato vero se ci accontentassimo di trascorrerlo concedendoci soltanto una pausa di sentimentalismo, di nostalgia dell’infanzia, di vago richiamo alla bontà. Questo non basta. Oggi siamo posti davanti a un Dio che si nasconde ma nello stesso tempo si propone. Egli aspetta che noi lo cerchiamo e lo riconosciamo, come i pastori, come i Magi. Entrare spiritualmente in quella grotta significa lasciarci coinvolgere dal mistero, per uscirne poi “più semplici, più umili, più caritatevoli, più lieti, più vicini a Dio” (Newman), con una fede e un cuore rinnovati, memori sempre della parola che lì dentro ci è stata rivolta: io, tuo Dio, ti voglio bene.

 

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