Resi giusti per la fede. Il fariseo e il pubblicano, al centro del vangelo odierno, rappresentano due stili contrastanti di religiosità: la parabola mette in crisi le nostre “immagini” di Dio e ci costringe a riflettere sul significato della vera fede.
Commento di don Mario Albertini
“Io, Signore, non sono come gli altri…” – Presentarsi così a Nostro Signore, dirgli: lo vedi che sono bravo, più bravo degli altri, non è certo una bella preghiera. E noi, un pensiero del genere, di sentirci migliori in paragone ad altri, non lo abbiamo mai avuto? Con la sua parabola Geù ce ne mette in guardia.
Nella parabola figurano tre personaggi: un fariseo, un pubblicano, e Dio.
Il fariseo è un che ci tiene a essere stimato, e per questo è molto attento a osservare le norme e ad apparire onesto; il pubblicano invece è considerato un trasgressore delle norme religiose e morali, e lui è consapevole di non essere onesto.
Se li avessimo qui davanti, ci verrebbe da dire che il primo è un uomo per bene, e che il secondo è soltanto un poveraccio. Ma essi non sono davanti a noi, sono davanti a Dio – e allora cosa succede? come si comporta Dio verso di loro? Il giudizio è completamente capovolto e infatti il peccatore torna a casa perdonato, reso giusto; l’altro invece, quello che sembrava una brava persona, no. Perché?
Tutto dipende da come si sono messi davanti a Dio. Il peccatore gli si presenta con sincerità, è consapevole della sua situazione morale, se ne pente, e con umiltà chiede perdono. Cosa può fare Dio, che è bontà misericordiosa, se non perdonarlo?
L’altro invece sembra rivolgersi a Dio, ma in realtà è come se fosse davanti allo specchio a contemplare se stesso, ad autocompiacersi e a dirsi: vedi quanto sono bravo! Non c’è verità in lui, c’è vanità, egoismo, orgoglio. C’è presunzione. E l’evangelista nota che Gesù espone questa parabola proprio “per quelli che presumono di essere giusti”, e quindi non chiedono perdono. E Dio non dà, non può dare un perdono non richiesto.
Allora la nostra preghiera deve essere come la preghiera del pubblicano, cioè umile. Con immagine poetica molto espressiva nella prima lettura è detto: “la preghiera dell’umile penetra le nubi”, va oltre le nubi, e Dio l’ascolta. L’abbiamo affermato anche nel salmo responsoriale: “Giunge al tuo volto, Signore, il grido del povero”.
Chi invece si ritiene già abbastanza bravo e buono, anche se pronuncia delle preghiere, in realtà non prega.
Ripensando alla parabola, domandiamoci: io come mi metto davanti a Dio, quando prego? Come mi metto ora, in questa preghiera che è la Messa? Siamo stati sinceri quando, iniziando la Messa, abbiamo ripetuto “Signore, pietà”?
Se siamo stati sinceri, se siamo sinceri ora nel riconoscerci peccatori e nel pentirci, torneremo a casa resi giusti dal perdono e dall’amore di Dio.
Sorry, the comment form is closed at this time.