Il recente bilancio demografico pubblicato dall’Istat, relativo al 2018, fotografa un’Italia sempre meno genitrice. Sono stati iscritti all’anagrafe appena 439.747 bambini, il minimo storico dall’unità del nostro Paese, rispetto al 2017 la perdita è del 4%: 18mila nascite in meno. Non è una novità, la decrescita neonatale è iniziata da tempo, ma mai con questi numeri. Siamo in una fase di declino demografico, noi italiani come quasi tutti i cittadini della vecchia culla della cultura mondiale: l’Occidente.
Se ne può discutere, senza pregiudizi e ideologia di sorta, ma la realtà del calo delle nascite è inoppugnabile. Così come, soprattutto qui in Italia, la mancanza di strutturate politiche per la famiglia. Chi fa parte del popolo italiano con prole negli ultimi due decenni ha ricevuto tante promesse, ha visto poche misure concrete e stabili, si è visto sbattere in faccia tante porte: una politica più attenta alla famiglia, insomma, può e deve essere finalmente d’aiuto, ma ricercare solo su questo piano la soluzione di tutti i mali sarebbe quantomeno ingenuo.
A riprova di questa convinzione basta portare la storia demografica del nostro Paese, del nostro come di qualunque altro: legare in assoluto la natalità alle possibilità economiche è semplicemente falso. Lo testimonia la storia delle nostre famiglie. Porto l’esempio della mia: mia madre aveva dieci fratelli, mio padre cinque. Sono sicuro che anche la stragrande maggioranza delle vostre era in passato assai più numerosa rispetto al presente, e non certo perché si navigava nell’oro, anzi, semmai l’esatto contrario. E’ vero che i figli erano considerati anche forza lavoro, ma viveva nell’uomo la certezza che per far fronte agli eventi della vita fosse importante costruire quella rete di relazioni che è la famiglia da duemila anni a questa parte. E più erano numerosi i fili della rete, tanto più il singolo non rischiava di cadere.
La realtà oggi, purtroppo, è molto diversa e ben più grave. Nessun altro dato come quello delle nascite fotografa con la medesima chiarezza il tramonto della nostra civiltà, per come noi l’abbiamo conosciuta e amata.
Una civiltà che sta divorando se stessa, che si è lasciata sedurre da tutta una serie di logiche, in primis finanziarie, capaci di annientare la sua grandezza impareggiabile, fatta di Umanesimo e Fede, le due grandi colonne che hanno sorretto la volta del mondo per secoli e secoli. Al loro posto si è insediata una nuova dottrina, che ci vuole tutti come monadi, individui soli lanciati a folle velocità verso gli unici obiettivi per cui vale la pena di vivere. Il successo personale. La ricchezza. La visibilità.
In questa corsa sfrenata tutto viene visto come una zavorra, perchè se si corre da soli è meglio, perché, in fondo, non si può che correre da soli. Poco importa se questi comandamenti siano in realtà dettati per farci semplicemente più produttivi e meno problematici, perché per un figlio ci si preoccupa, si rischia di mettere in secondo piano il lavoro, la carriera. Perché attraverso un figlio, forse, si può scoprire che i veri obiettivi della vita sono altri. Non si vuole essere apocalittici, ma per tornare a un’Italia e a un Occidente floridi, e di speranza e di nascite, occorre una vera rivoluzione, ben più forte di qualunque manovra di governi o di governicchi. Ci vuole una corale disubbidienza civile a tutte le regole che ci vogliono soli e schiavi, senza vera libertà oltre il consumo, anche di noi stessi come merci. Dobbiamo saper tornare alle due grandi forze che ci hanno sorretto lungo tutta la nostra millenaria storia. Da una parte l’Umanesimo laico, dall’altra l’enormità della Fede.
Solo così potremo rinascere, solo così potremo restituire all’evento più sensazionale che sia concesso ai viventi, dare al mondo altra vita oltre la propria, la primordiale infinita grandezza.
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