Lug 132019
 

donmarioalbertiniL’amore del cristiano rivela Dio. La figura del samaritano buono, al centro dell’annuncio evangelico, indica la strada per conoscere Dio: insegna a noi l’amore del prossimo, come capacità di incontrare nell’altro bisognoso il fratello a cui farci vicini, al di là di ogni schema sociale o religioso. Questa è la vera “giustizia cristiana”, che ci avvicina a Dio.

Commento di don Mario Albertini

Vangelo dalle molte domande, poste da qualcuno a Gesù o riproposte da Gesù. Ne esaminiamo due. La prima è una domanda che dovremmo porre anche noi: cosa devo fare per avere la vita eterna? e ad essa Gesù con la parabola del buon samaritano dice: per avere la vita eterna devi preoccuparti della vita terrena del tuo prossimo. Facciamo attenzione a questo legame tra vita eterna, cioè quella che ci unisce a Dio, con la vita terrena degli altri. Per poter ereditare la vita di Dio, l’uomo deve impegnarsi a favore della vita degli altri, prendersi cura della vita del prossimo. E’ il comandamento: ama il prossimo come te stesso. 

Che va insieme con il comandamento: ama Dio con tutto il tuo essere. Perché dire di sì a Dio significa anche essere pronti a dire un sì effettivo al prossimo, in particolare a chi vive nel disagio. 

Teniamo presente, ripeto, questo legame: “cosa devo fare per avere la vita eterna?” – “va’ e fa’ altrettanto” = aiuta il tuo prossimo. 

La seconda domanda da esaminare è: “chi è il mio prossimo?”. E’ una domanda sbagliata, perché chiedere ‘chi è il mio prossimo’ significa immaginare un mondo di cui io sto al centro, e pensare gli altri posti attorno a me, chi più vicino e chi più lontano. Gesù con il suo racconto insegna che non si tratta di catalogare le persone collocandole più vicino o più lontano, ma di accorgersi delle persone che hanno bisogno di me. Infatti conclude la parabola chiedendo: “chi è stato ‘prossimo’” a quel malcapitato? Rettifica così la domanda che dicevo sbagliata: non “chi è il mio prossimo?” – ma: come farmi prossimo a chi è nella necessità? Non quindi soltanto a chi mi è parente o amico o compagno. Di quel ferito, Gesù non dice il nome, non dice se era ebreo o pagano, se era ricco o povero, ma semplicemente che era un uomo: “Un uomo scendeva …”. Ecco: un uomo, una persona. Questo è il mio prossimo. 

E qui sarebbe interessante un’analisi anche dei particolari della parabola. Per esempio i vari gesti che compie il Samaritano nei confronti dell’uomo incappato nei ladroni e malmenato. Di lui è detto in primo luogo che vide il ferito; anche il sacerdote e il levita lo avevano visto, ma avevano tirato diritto. Lui invece “lo vide, – ne provò compassione” e allora gli si fa vicino (ecco: gli diventa ‘prossimo’!) e gli presta i primi soccorsi eccetera. Cioè passa all’azione caritativa. E’ quello che sottolineavo all’inizio: dice di sì alla vita dell’altro – per questo sarà degno della vita eterna. 

Aggiungo un ultimo pensiero: questa parabola è stata definita la sintesi del vangelo, per due motivi.

Il primo è perché essa è simbolo dell’azione di Gesù nei nostri confronti: lui si è fatto prossimo a noi per salvarci dal male, è lui il buon Samaritano che ha pietà delle nostre povertà spirituali e si prende cura di noi per esempio mediante i sacramenti. 

Il secondo motivo è perché la parabola riassume l’insegnamento di Gesù circa l’amore al prossimo. 

Proviamo allora a ripensarla sia mettendoci nella parte di chi ha bisogno di aiuto da parte di Dio, sia sentendo il comando di porgere noi aiuto a chi ne ha bisogno.

 

 

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