Lug 092019
 

Fotosearch_k1194745La pazienza è l’arte di vivere l’incompiuto di noi. E negli altri. “Mi piace vedere la santità del popolo di Dio paziente nei genitori che crescono con tanto amore i loro figli; negli uomini e nelle donne che lavorano per portare a casa il pane; nei malati; nelle religiose anziane che continuano a sorridere. In questa costanza per andare avanti giorno dopo giorno, vedo la santità della Chiesa militante. Questa è tante volte la santità della porta accanto” (Gaudete ed Exultate 7). Saper vivere l’incompiuto e, al tempo stesso, non accontentarsene. La santità prende così il nome di cura paziente verso ogni forma di vita: la pazienza della madre in attesa, del bambino per crescere, del contadino in inverno, del muratore con i suoi muri, degli amanti per incontrarsi, di un anziano per morire, del pensiero per prendere forma di parola. La vita intera nasce incompiuta e chiede accadimento paziente.

Una visione riduttiva della pazienza l’ha identificata con la sopportazione delle prove, la resistenza alle avversità, una sorta di stoicismo passivo.

La visione evangelica invece l’ha trasferita nel campo della cura, della custodia, della dedizione, del coltivare germogli( Gc 5,7-8)

Ciò che dona ali alla pazienza è la speranza. Come nella parabola del fico sterile di Luca 13,6-9: “ Sono tre anni che vengo a cercare frutti da questo albero e non li trovo. Taglialo”.

Il contadino sapiente e paziente si oppone:” No, padrone, non tagliarlo, diamogli ancora tempo, un anno di cure, e forse porterà frutto”. Speranza così testarda da aggrapparsi a un “forse”. 

Il Vangelo evoca la buona novella della pazienza di Dio, un dio Giardiniere e contadino chino su di me, vignaiuolo e ortolano pieno di fiducia in questo pugno di terra dove ha seminato così tanto per tirar su così poco.

La divina pazienza ha una stella polare: Dio ha un pregiudizio bellissimo su di me, lui non guarda ai miei rami, guarda alle mie radici:” Tu hai radici buone, tu sei un albero che darà frutti buoni, lo farai nella tua famiglia, nel lavoro, nella storia del mondo, nel creato. Tu lascerai una traccia buona nell’universo “. E, infatti, ogni giorno il Creatore continua a creare, a spargere a piene mani i suoi semi di vita, manda sole e pioggia, e la sua fatica, con infinita pazienza.

Lui non punisce la sterilità del mio orto, la guarisce; non mortifica nessuno, è il Vivente che fa vivere. Come un profeta, non spegne la lampada del lucignolo fumigante, a lui basta uno stoppino smorto, ci si dedica, lo circonda di cure fino a che da quel povero fumo, profezia di fuoco possibile, farà sgorgare di nuovo la fiamma viva.

 La pazienza allora non è la virtù dei forti, ma la virtù dei credenti e dei  profeti. Non una qualifica del carattere di una persona, ma della sua fede.

Alla “santità della porta accanto” evocata da papa Francesco, possiamo dare il nome nuovo di”santità della cura”.

Aver cura del vivente, azione specifica del Creatore, amante della vita, equivale a essere santo, e richiede tempo, attenzione, costanza: in una parola, pazienza.

La cura che il Signore ha per noi servirà da traccia per le relazioni tra gli esseri umani. Il santo abita la vita donando tempo e cuore. “Il tempo è il messaggero di Dio “( Evangelii Gaudium 171), e nessuno può sapere di quanta esposizione ai raggi del sole di Dio abbia bisogno un granello di senape, l’albero dell’orto, oppure una persona, o mio figlio, o anche il mio avversario, o io stesso, per giungere all’armonia del mio essere, a un cuore unificato, e portare frutto.

Perciò dona tempo alle persone di giungere a maturità e a libertà, con una immensa pazienza, sii indulgente verso tutti, e sii indulgente anche verso te stesso, con la qualità paziente del lievito dentro la pasta, della sentinella che attende quanto manca della notte, perché ciò che tarda verrà.

Santità è l’infinita pazienza di ricominciare a prendersi cura di se stessi, degli altri e del creato. Triplice cura, umile  costante e testarda come il battito del cuore.

 

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