Verso la fine dell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium (n. 270), papa Francesco accenna alla tentazione di starcene alla larga da tutto e da tutti, soprattutto dai problemi. Il Papa più esattamente afferma che “a volte sentiamo la tentazione di essere cristiani mantenendo una prudente distanza dalle piaghe del Signore”, le quali, a scanso di equivoci, si identificano con “la miseria umana… la carne sofferente degli altri”. In questo periodo, qua e là per l’Italia o in giro per il mondo, in molte nostre comunità parrocchiali o santuariali, si è appena conclusa la festa del nostro Sant’Antonio.
Un Santo “trasversale”, così innamorato di Dio e così seguace di Gesù Cristo da non sentirsi per nulla imbarazzato o stizzito se a pregarlo, magari accendendo una candela, è un poveraccio piuttosto che una persona ricca, un italiano o un francese, un cristiano o un fedele di altra religione, con le parole, quelle giuste, che abbiamo imparato a catechismo o con quelle che solo il cuore sa proferire. Perché, superata la tentazione di cui parlava il Papa, Sant’Antonio è così vicino a Dio da non poter che esserlo altrettanto a tutti i suoi figli. Nessuno è abusivo accanto a Dio! Riprendo il pensiero iniziale: “Quando lo facciamo – ogni qualvolta cioè ci arrischiamo ad avvicinarci alle ferite del Cristo, quelle della croce e quelle in ogni uomo e donna, – la vita ci si complica sempre meravigliosamente” scrive ancora il Papa. E’ come dire che il cristiano è uno che si cerca i guai o si lascia trovare da essi. Che si va a ficcare in tutte le situazioni più complicate. Che non riesce a farsi i fatti suoi. Che non può fregarsene. Che esclama “io” ma intende “noi”, dice “mio” ma per dire “tuo”. Non tanto alla ricerca della sua forma perfetta e ideale, quanto disponibile a qualsiasi forma lo stia convocando. Che per centrarsi, ha necessità di scentrarsi. Per trovare l’equilibrio, lo deve prima perdere.
Che avanza quando gli altri retrocedono, ma arretra nelle retrovie quando gli altri passano avanti. Che si perde per ritrovarsi e muore a se stesso per risorgere a vita piena. Questo è il mestiere del cristiano. Davvero Sant’Antonio si è complicato la vita! Ci basterebbe misurare i chilometri di polvere che ha macinato sulle strade, o le folle di persone che ha incontrato, ascoltato, consolato, aiutato, e a cui ha annunziato l’amore di Dio, nelle piazze, nelle carceri, in cima a un noce, nei palazzi dei potenti. E che se la sia complicata “meravigliosamente” ce lo assicura la sua fama sparsa ai quattro angoli del mondo: la statua o il quadro che lo rappresenta, praticamente immancabile in ogni chiesa, i capitelli a lui dedicati ai crocicchi delle nostre contrade, la carità e il bene che in suo nome si ha la grazia di poter fare a tanti che ne hanno bisogno. E, nel suo piccolo, anche il “Messaggero di Sant’Antonio”, in tutte le sue espressioni editoriali, strumento di formazione umana e religiosa e legame tra i frati della Basilica di Padova, che custodiscono le spoglie mortali e il ricordo del Santo, e tutti gli amici di sant’Antonio nel mondo.
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