Mag 112019
 

lavanda-1“Forse Dio è stanco di seguaci austeri, di eroi dell’etica nelle loro celle. Forse ora vuole dei giullari, felici di vivere, come San Francesco sulle strade dell’Umbria; dei prigionieri, usciti dalle segrete, che danzano nel sole” (Madeleine Delbrêl). Nel sentire comune l’idea di santità evoca per lo più immagini di luoghi separati: una chiesa, un monastero, lunghi esercizi di pietà lontani dal dolce, o trafelato, rumore della vita. Nei vangeli non è così. C’era un luogo santo per eccellenza in Israele, il tempio di Gerusalemme, il cui cuore era una stanza buia, dove solo il Sommo Sacerdote entrava alla presenza del Signore. Il Vangelo di Luca prende avvio da quel luogo con la storia del sacerdote Zaccaria. Un anziano che ha il prestigio religioso e culturale, forza sociale ed economica. Che vive con grande rigore etico, al punto da essere definito, insieme con la moglie Elisabetta, “irreprensibile”.

Siamo davanti al “top”, al fior fiore della religiosità ebraica. Zaccaria entra nel tempio per fare l’offerta dell’incenso. Il popolo è fuori e prega (Lc 1,9-10). Attende: ha delegato al sacerdote la comunicazione con Dio. L’angelo annuncia a Zaccaria la nascita di un figlio, ma l’anziano sacerdote non crede, non si fida, vuole un segno. Non ascolta con il cuore, e diventa muto.

Zaccaria compie tutti i riti, li fa bene, è irreprensibile, ma non ha fede. Non crede all’angelo ed esce muto, senza parole, dal tempio. Ci sono i riti, la cornice è perfetta, ma c’è la fede? Vale anche per noi: partecipare alle liturgie non basta, c’è la fede? Praticare le cose della religione non basta, c’è la fede? Forse veneriamo la cenere invece di custodire il fuoco?

Il popolo fuori attende, ha affidato le sue preghiere al sacerdote, ma il sacerdote non porta a loro niente se non il silenzio di Dio. Simbolo collettivo: le grandi istituzioni sono diventate mute, un peso. Le strutture religiose sono prigioni di Dio. Non lo trasmettono più.

Il Vangelo comincia con l’uscita di Dio dai recinti del sacro e il suo incarnarsi nel quotidiano.

La vita è la cosa più santa che esista. Nella fatica e nella gioia del quotidiano la vita, che è santa, celebra la sua liturgia.

Dio ora sta in una tenda piantata “in mezzo a noi” (Gv 1,14), fuori dai recinti sacri , nei luoghi del quotidiano, tra strumenti di lavoro, cibo, panni e stoviglie, abbracci e la polvere delle strade. Il Dio della santità entra là dove la vita celebra la sua festa. Nelle case, nel grido vittorioso del bambino che nasce, nell’abbraccio degli amanti, nell’ultimo respiro del morente, nel perdono, nella memoria, nella fiducia, si celebra il senso santo del vivere.

Scrive Jorge Luis Borges: “Ogni casa è un candelabro” che tiene alta sul mondo una fiamma, una profezia di luce e di calore. La verità non è una nozione, ma è ciò che arde, mani e cuore che ardono.

Anche la parola “parrocchia” significa in origine “tra le case”. Come ha fatto l’angelo Gabriele, atterrato in una casa qualunque, una “tra le case” di Nazaret.

“Ogni casa è un candelabro” che arde davanti all’Altissimo e davanti al mondo. Un candelabro di legami e di sentimenti, di dono e di fiducia, di santità reale. La santità è ciò che nelle vite arde davvero.

 

 

 

Sorry, the comment form is closed at this time.