(Padre E. Ronchi) – I Santi sono pellegrini. E nel loro cammino scelgono sempre l’umano, invece del disumano.
La santità non è tra le parole preferite del vocabolario dei cristiani. Sembra priva di appeal, suscita forse un po’ di ammirazione per qualche personaggio straordinario, ma ai più incute timore ed estraneità, un senso di irraggiungibile… Gaudete et exultate di papa Francesco racconta invece la santità come qualcosa di vicino e cordiale, la santità della porta accanto. Vista non come un elenco di conquiste ardue sul sesto grado della vita morale, ma come una strada lastricata di sorprese che ti tolgono il fiato, e che ti aprono davanti la vita buona, bella e beata. I santi sono uomini e donne belli e felici, che irradiano una lucente gioia di vivere.
Sono pellegrini che, dice il salmo 84,6, hanno una strada nel cuore: felice l’uomo che ha sentieri nel cuore. Che cammina nei campi della vita, non sta seduto a terra, mentre la storia gli scorre accanto, ma si alza e va, dietro a una stella polare, a un sogno di mondo migliore. Non siamo al mondo per esser immacolati, ma incamminati. La Evangelii gaudium ci incoraggia: non alla paralizzante paura di qualche sbaglio lungo la strada, si invece alla sana paura di restare immobili e seduti, nel triste individualismo di un cuore comodo e avaro.
Alzati, coraggio, ti chiama, così la folla al cieco di Gerico. Così a tutti noi, voce dell’umanità e voce di Dio. Ti alzi, ti incammini verso una Parola che ti chiama, che trema nell’aria, che non vedi, e per prima cosa fai l’esperienza del coraggio della libertà: nel Pantheon greco, nell’Olimpo della religiosità antica, non c’è un Dio della libertà. Ma c’è nella Bibbia: io sono Colui che ti ha liberato dall’Egitto. Casa di Dio siete voi se custodite libertà e speranza (Eb 3,6). Casa, tempio, santuario, tenda, carne di Dio nel mondo, vero santo è colui che irradia libertà e speranza ed è così che porta Dio nel mondo.
Nell’antichità classica erano considerate sante tre categorie di persone: i sacerdoti, gli eroi e i poeti. Li univa la percezione che erano in grado di introdurre una novità nella storia, di modificare gli eventi, di aggiungere un di più. Dei creativi.
L’eroe portava un “di più” di forza che muoveva le vicende e le piegava in una direzione nuova. Il sacerdote portava un “di più” nei giorni di tutti, mettendo in comunicazione l’alto e il basso, uomini e dei, terra e cielo, attraverso la preghiera e l’offerta dei sacrifici. Il poeta è “santo” perché intuisce bellezza nelle pieghe oscure dei giorni, illumina di straordinario le vicende ordinarie, le cose più umili diventano angeli rivelatori. “E un solo verso può fare più grande l’universo” (D.M. Turoldo). Allora santo per l’umanità, cioè datore di un “di più” di vita, non è tanto colui che ha raggiunto una alta temperatura morale, quanto chi è diventato sale e luce, lievito buono immesso nella storia come “la donna che lo mescolò in tre misure di farina, finchè non fu tutta lievitata” (Lc 13,21).
Il santo è l’uomo finalmente promosso a uomo, e che precede la nostra carovana sulla via della fioritura dell’umano: noi nasciamo a metà e tutta la vita ci serve per nascere del tutto. La differenza tra il santo e il cristiano medio non si misura sul paradigma del peccato, ma della pienezza. Anche il giusto pecca sette volte al giorno, ma fa il bene settanta volte sette. Il bene conta più del male, la luce vale più del buio, il buon grano più della zizzania.
L’esortazione apostolica Gaudete et exultate fa poggiare i fondamenti della santità su due basi evangeliche: le beatitudini, dove il termine beato diviene sinonimo di santo; esse sono l’atto di fede, la certezza che Dio regala gioia a chi produce amore; la caratteristica del santo è appunto la gioia; la pagina di Matteo 25, pagina grandiosa che chiamiamo giudizio universale e che invece è lo svelamento della verità profonda, ultima, del vivere. Spezzare il pane, visitare l’ammalato, accogliere lo straniero o l’ultimo, e così essere donatori di vita, controcorrente rispetto alla logica del mondo. Santità è scegliere sempre l’umano contro il disumano.
di Padre E. Ronchi
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