La logica del dono. Due vedove povere sono presentate come “figure” di Gesù Cristo: esse infatti concretizzano l’amore in una disponibilità a donare non il superfluo, ma tutto ciò che hanno per vivere. Dunque amare vuol dire imparare a donare se stessi.
Commento di don Mario Albertini
Gesù ha voluto fare una sosta nel cortile del Tempio, e attorno a lui ci sono gli apostoli. Nel via vai continuo alcune persone si avvicinano alla sala del tesoro in maniera ostentata, e nella cassetta esterna versano grosse offerte. Ma Gesù richiama l’attenzione dei suoi discepoli su una donna che quasi furtivamente versa anche lei qualcosa in quella cassetta, e li informa che si tratta di una vedova e povera. E poi domanda: – Secondo voi, tra tutti i donatori chi ha fatto l’offerta più cospicua?
E’ difficile rispondere, perché da una certa distanza agli apostoli non è stato possibile valutare l’entità di quanto versato dai singoli. Con loro sorpresa il Signore dice: – E’ stata proprio lei, la vedova. Ha versato soltanto due spiccioli, ma era tutto quello che aveva per vivere (Lc 21,4); gli altri invece hanno versato qualcosa del loro superfluo. Quindi… Sì, quindi non è l’entità del contributo che ha valore, ma il cuore di chi dona, di chi sa privarsi anche del necessario per un’opera di bene. I nostri occhi non sanno vedere, ma Dio penetra i cuori, legge le intenzioni, gradisce la vera generosità. Agli occhi di Dio, e quindi in realtà, il valore dell’azione dipende dal come, dalla qualità interiore, e non dal quanto. E la qualità è data dall’amore.: “Dio non guarda le mani, guarda il cuore”.
Sono due le applicazioni che vengono di conseguenza.
La prima consiste nell’esaminare se in quello che compiamo di buono, nella preghiera e nell’elemosina, ma anche nel lavoro, nello studio, nella vita di famiglia, nella vita civica, eccetera, se in tutto questo ci mettiamo il cuore e la testa, cioè un’attenzione fatta di amore, – o se invece siamo più preoccupati di quello che possono dire gli altri.
In secondo luogo, quando guardiamo agli altri vediamo soltanto la quantità, cioè quello che appare all’esterno, o facciamo lo sforzo di capire anche la qualità del loro agire?
Non è facile entrare nelle intenzioni altrui, quasi mai ne siamo capaci con sicurezza – ma il nostro occhio deve essere benevolo e partire dal presupposto che la qualità sia buona, e comunque ricordarci che il giudizio assoluto e veritiero spetta a Dio. Nell’aldilà avremo delle grosse sorprese nello scoprire la miseria di persone che credevamo brave e buone, ma che erano come quegli scribi che Gesù condanna; e scoprire invece la ricchezza spirituale di persone che forse abbiamo disprezzato.
Perché a Dio non si presentano delle cifre: ho dato tanto, ho prodotto tanto. A Dio dovremo presentare il cuore: Dio vedrà se questo è stato buono, se è stato riconoscente e attento. Perché questo solo conta: avere un cuore buono che ci spinge a fare il bene.
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