Contro la tentazione di monopolizzare Dio. Lasciare che Dio sia Dio: questo l’invito che ci sentiamo rivolgere oggi, per non cadere nella tentazione di voler imprigionare Dio e la sua vo- lontà dentro i nostri limitati schemi frutto di egoismo e di presunzione.
Commento di don Mario Albertini
Anche al tempo di Gesù esistevano gli scandali – e abbiamo sentito le sue parole forti, dure, paradossali: meglio essere buttato in mare, tagliarsi la mano o il piede, cavarsi un occhio, che essere motivo di scandalo per sé o per gli altri. Cosa direbbe per il nostro tempo? per i nostri giorni, quando la televisione e i giornali ci bombardano di notizie sui peggiori scandali?
Cosa direbbe oggi il Signore? E talvolta non siamo anche noi occasione di scandalo?
Ma cerchiamo di capire bene il Vangelo. La parola ‘scandalo’ vuol dire un ostacolo, un sasso in cui ci si inciampa, e che è causa di caduta. Gesù adopera questa parola per indicare tutto quello che crea ostacolo ad entrare nel Regno di Dio, tutto quello che diventa occasione di caduta, cioè di peccato. Se quello che uno compie spinge altri al male (“chi scandalizza uno di questi piccoli…”), o se la situazione in cui uno si mette è per lui causa di male (“se la tua mano, o il tuo piede, o il tuo occhio scandalizza te”) – tutto questo rientra nel concetto di scandalo, ed è oggetto delle parole di condanna da parte del Signore.
E’ facile per noi pensare alla gravità di tutte le spinte all’immoralità, ma è altrettanto grave giustificare l’ingiustizia e l’imbroglio (lo dice anche la seconda lettura), è grave indurre alla violenza, introdurre all’uso della droga. Questi sono scandali. Anche dirsi cristiani e comportarsi non da cristiani è scandalo.
Gesù dice: tagliare, cavare… Per noi può voler dire semplicemente non guardare quel programma, non comprare quella rivista, comportati in modo da non offenda la sensibilità degli altri, vivi onestamente, opera per la pace attorno a te.
Questa è la seconda parte del Vangelo letto. Un altro insegnamento Gesù lo dà nella prima parte, quando dice: “Chi non è contro di noi è per noi”. Gli apostoli si erano dimostrati gelosi del loro rapporto con il Signore, e pretendevano l’esclusiva di parlare e di operare in nome suo, ma egli invita, gli apostoli ma pure noi, ad avere mente e cuore aperti ad ogni contributo di bontà e di verità. Nessuno deve ritenere di avere il monopolio della verità, di ritenersene l’unico possessore. Forse come gli apostoli (e un episodio simile è narrato nella prima lettura) anche noi diciamo: quello lì non è dei nostri. Invece occorre essere riconoscenti che noi siamo di Cristo – ma anche che lui, Gesù Cristo, possa arrivare ad altri in modi che non conosciamo.
In quanto cristiani, noi siamo certi che ci è stata rivelata la verità, ma dobbiamo essere rispettosi del bene e del vero che è seminato in ogni uomo, in ogni cultura, anche in altre religioni, e accettare il pluralismo della ricerca, pur non lasciando perdere niente del nostro patrimonio di fede.
E’ questo oggi il grosso problema del rapporto con l’Islam: affermare la nostra fede, rispettando quello che di bene c’è anche fuori: “chi non è contro, è con …” – anche se purtroppo non c’è il corrispettivo. Quindi due grandi insegnamenti: evitare lo scandalo, rispettare chi non la pensa come noi.
E accogliamo un terzo insegnamento semplice e pratico: dare anche solo un bicchiere d’acqua per amore e in nome di Cristo, ci apre alla sua amicizia. A Dio non servono grandi gesti; egli si aspetta da noi la bontà. Che vogliamo bene, che facciamo del bene.
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