Il mistero del Corpo e del Sangue del Signore. Nel dono che Gesù fa di se stesso si rinnova l’alleanza tra Dio e il suo popolo. Nell’eucaristia egli si fa cibo e bevanda per nutrire la nostra vita, riempiendola del suo Spirito. Quale risposta egli chiede a noi fedeltà.
Commento di don Mario Albertini
Se il giovedì santo, il giorno della istituzione dell’Eucaristia, è il giorno dell’incontro intimo con Gesù, la solennità del Corpo e Sangue del Signore vuole essere il giorno della lode, della glorificazione.
Da duemila anni il mondo cristiano celebra in varie forme il trionfo dell’Eucaristia, e la glorificazione più grande viene dal fatto che da quel lontano giovedì, quando per la prima volta per le parole di Gesù un pane divenne il suo Corpo, una lunga teoria di persone si inginocchia ad adorare Cristo presente, nascosto agli occhi corporali ma affermato dalla fede. Uomini di ogni cultura adorano la piccola Ostia, la prendono come nutrimento spirituale, e trovano in essa la forza per esercitare l’amore di Dio e del prossimo, l’onestà dei costumi e la giustizia, per sopportare la sofferenza e vivere la speranza. Perché l’Eucaristia, è: “Pane vivo, che dà vita … pane degli angeli, pane dei pellegrini, vero pane dei figli” (dalla sequenza Lauda Sion, nella Messa).
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“Prendete, questo è il mio Corpo”: le parole di Gesù dicono che egli ha voluto lasciarci in dono se stesso come nostro cibo; non si presenta come un lusso superfluo, ma si offre alla nostra consumazione sotto il segno dell’alimento più necessario, il pane. L’Eucaristia non è una cosa, ma una persona: “Questo è il mio Corpo, questo è il mio Sangue”: parole che trasformano il pane e il vino nella realtà di Gesù Cristo. Sì, Gesù realmente, personalmente, con la sua divinità e umanità, è qui. Certo, è un mistero: “Mistero della fede!” proclama il celebrante subito dopo la consacrazione nella Messa; ma la parola di Gesù è esplicita, e la parola di Gesù va presa sul serio.
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Viene da chiedersi: perché Gesù ha scelto un modo così semplice di essere presente (un pezzettino di pane), così semplice che di lui si può fare quello che si vuole? perché ha scelto un modo così facile di essere ricevuto, così facile anche ad essere dimenticato e trascurato? E’ scritto nel vangelo: “Gesù, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo li amò sino alla fine” (Gv 13,1), sino all’estremo dell’amore; questo estremo è stata l’accettazione della morte sulla croce per testimoniare e comunicare l’amore del Padre. Ebbene: l’Eucaristia è il segno e il memoriale di questo sacrificio, cioè non è che amore, e la comunione eucaristica è il momento dell’accoglienza di questo amore. Gesù ha voluto che potesse avvenire nel più facile dei modi, perché quelli che desiderano unirsi intimamente a lui non trovino ostacoli, e quelli che vogliono diventare buoni trovino una fonte immediata di forza, e perché il riceverlo sia un atto di libertà.
Ma facilità non deve significare indifferenza, e nemmeno impreparazione, ed è necessario aver ottenuto il perdono mediante la confessione. Perché il modo è facile, ma l’impegno interiore richiesto è grande, e se dopo ogni comunione non si cerca di essere più fedeli a Gesù, c’è da chiedersi se non siamo stati superficiali nell’accostarci a lui. E allora, mentre oggi ci uniamo alla Chiesa di tutti i tempi e di tutti i luoghi nel glorificare il Cristo eucaristico, rinnoviamo sia la fede che l’impegno.
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