Pasqua, in questo clima di totale secolarizzazione del calendario, costituisce più che altro un weekend lungo, preceduto da un’insistente attenzione sulle previsioni del tempo e da proposte di viaggi. Seguono bilanci su quanto hanno speso gli italiani, dove sono andati, e così via. Dei riti pasquali l’unico che accende un po’ di curiosità è la lavanda dei piedi da parte di papa Francesco: a chi li laverà quest’anno? L’anno ciclico, quello segnato da feste che ripercorrono le tappe della storia di Cristo, sta smarrendo ogni ricordo del suo senso religioso.
Certo, guai a toccare queste feste, ma solo perché sono occasione di vacanze, e di spese. Sono infatti soprattutto gli albergatori e i ristoratori, oggi, a vegliare attentamente su di esse e per motivi, ovviamente, ben lontani dalla fede religiosa. Ma se si è sfaldato il senso del susseguirsi ciclico delle feste – che erano una meditazione sulla vita di Gesù, un’occasione per ricordarla e per onorarne la ragione ultima, che è la nostra salvezza – ancor più si è perso il senso più ampio e profondo del tempo che pervade la tradizione ebraica e cristiana.
Tempo che non è solo un ciclo di tappe stabilite che si rinnovano ogni anno, seguendo le stagioni, ma una linea aperta al futuro: tempo che ha un inizio – la creazione del mondo e, per noi cristiani, la venuta di Cristo – e un punto finale, che sarà segnato dal suo ritorno. Ed è un tempo che presuppone non solo un inizio e una direzione, cioè un futuro, ma anche un fine, che è quello del miglioramento dell’umanità. Naturalmente non sappiamo come questo può avvenire, anche perchè sempre più spesso abbiamo la sensazione che gli esseri umani non facciano che peggiorare. Invece, in modi che noi non siamo capaci di percepire, qualcosa sta cambiando. L’unica cosa che possiamo capire è che tutti noi dobbiamo lavorare per contribuire a questa crescita spirituale e umana, anche nel nostro modesto spazio di vita: svolgere bene i compiti che ci sono stati affidati, avere uno sguardo di amore per gli altri, sopportare con coraggio le sofferenze. Sì, per ognuno di noi c’è una possibilità di collaborare a questo grande disegno. Il problema è che ne abbiamo perduto la consapevolezza, soprattutto perché abbiamo perso interesse per il futuro. Anche per quello semplicemente umano, cioè per l’avvenire delle prossime generazioni.
Una società in forte calo demografico, come ormai accade in quasi tutta Europa, è destinata a concentrarsi sul presente, per cercare di viverlo al meglio, e semmai di ripensare al passato, che è l’unico aspetto che conosciamo per averlo vissuto. Lo vediamo chiaramente nei programmi dei partiti politici: gravati da conflitti interni che si trascinano da decenni e influenzati da ideologie e problemi del passato, non riescono a proporre altro che una visione ristretta a pochi anni. Il loro orizzonte è quello delle prossime elezioni e non il futuro del Paese, della comunità di cui facciamo parte. La secolarizzazione è un limite al pensiero anche da questo punto di vista, perché riduce gli esseri umani a una visione della realtà appiattita su un presente che sembra eterno, ma che invece sarà sottoposto a forti cambiamenti a breve.
Cambiamenti che non vogliamo vedere, e che quindi non sapremo affrontare.
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