Nov 252017
 

giubileo_misericordia_logoC’è una casa a Cafarnao dove la morte ha messo il nido, una casa importante, quella del capo della sinagoga. Casa potente e incapace di garantire la vita di una bambina. Infatti Giairo ne è uscito, ha camminato in cerca di Gesù, lo ha trovato, si è gettato ai suoi piedi: “”La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva”. (E Gesù) Andò con Lui (Mc 5,23-24)”. La prima reazione di Gesù è di provare dolore per il dolore dell’uomo: ascolta il grido, interrompe quello che stava facendo, cambia i suoi programmi, e si incamminano insieme. Ed ecco che stare con il dolore degli altri diventa uno dei gesti cristiani più rivoluzionari. Nel breve tragitto tra la sponda del lago e la casa di Giairo il racconto si snoda in sette tappe simboliche.

La prima tappa. E Gesù andò con lui. Gesù consola Giairo camminando con lui verso la sua casa in pianto. Si tratta del cammino che Gesù preferisce: è la strada dell’uomo che scende da Gerusalemme a Gerico, della vita aggredita, delle situazioni limite, delle frontiere del vivere, la carne con addosso il morso del dolore. Si incamminano senza parole, il dolore non domanda spiegazioni, ma condivisione; non cerca un maestro sapiente che ne spieghi il senso – in tutta la Bibbia, per quanto lo cerchi, non troverai il perché del male -, ma uno che faccia strada insieme, su cui appoggiare le ferite del cuore. Si incamminano e con loro cammina la speranza.

Seconda tappa. Dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: “Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?” (Mc 5,35). La tempesta definitiva della morte è arrivata. Caduta anche l’ultima speranza. E allora Gesù parla, con tenerezza combattiva, e si fa argine al dolore e alla paura di Giairo: “”Non temere, soltanto abbi fede!”. (Mc 5,36). Fede in che cosa? Nella vita? No, perché nel duello con la morte la vita soccombe. Non è la vita che vince la morte, è l’amore. “Amare è dire: tu non morirai!” (Gariel Marcel). Questo dice Gesù alla bambina sconosciuta e amata. E intanto si arma, si circonda di chi ha amore: il padre della bambina, i tre discepoli prediletti, poi la madre della bimba, un piccolo gruppo che ha capito che là dove metti il tuo cuore, lì troverai anche le tue ferite. Tu continua ad aver fede. Quella che ti ha fatto uscire di casa in cerca di ascolto e aiuto, credendo in me, in un cuore buono che si lascia ferire. Anche se adesso dubiti, anche se pensi che non serva e hai tanta paura, abbi fede che Dio è una sorgente di vita e che continua a zampillare e non verrà mai meno. Abbi fede. Il contrario della paura non è il coraggio o la forza d’animo, noi non siamo degli eroi. L’antagonista vera della paura è la Fede, il fidarsi, l’affidarsi, l’aggrapparsi a una mano forte che non ci lascerà cadere.

Il terzo passaggio. “Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: “Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta ma dorme”. E lo deridevano”. Mc. 5, 38-40. È la nostra poca fede che chiama “morti” coloro che si sono addormentati nel Signore. Sono vivi, vivono nella casa del cielo, ci attendono, li vedremo, dormono. La morte è una parentesi breve di separazione, come un sonno, una notte, tra questo sole e l’altro sole.

Gesù cacciò tutti fuori di casa e impose il silenzio. Mentre si avvia a un corpo a corpo con la morte, è come se Gesù dicesse: “Entriamo con rispetto grande, portando silenzio. Che è un amore senza parole”.

Quarto momento. Cacciati fuori tutti, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui. Gesù non ordina di fare cose, prende con sé; crea compagnia e vicinanza, si mette davanti il piccolo corteo, ad aprire la strada, come farà con la sua morte e risurrezione. Prende il padre e la madre, i due che amano di più, perché forte più della morte è l’amore. Prende con sé i suoi tre discepoli preferiti, perché si mettano alla scuola dell’esistenza. Chi ha passato anche un’ora soltanto ad addossarsi il dolore di una persona è più saggio di chi ha letto tutti i libri; ha il sapere, la vera sapienza sulla vita e sulla morte. E poi conosce per contagio una “divina presenza”. C’è più “cielo” presso un corpo o un’anima dolente che presso le dottrine dei teologi.

Quinto momento. Ed entrò dove era la bambina. Una stanzetta interna, un lettino, una sedia, un lume, sette persone e il dolore che prende alla gola. Il luogo dove Gesù entra non è solo la stanza interna della casa, è la stanza più intima del mondo e la più oscura, quella senza luce: l’esperienza della morte, attraverso la quale devono passare tutti i figli di Dio. Gesù entra nella dimora della morte, proprio perché là va ogni suo amato. Lo fa per essere con noi e come noi, perché noi possiamo essere con lui e come lui. Non spiega il male, entra in esso, lo invade con la sua presenza, dice: io ci sono. Prese la mano della bambina. Gesù è una mano che ti prende per mano. Bellissima questa immagine: una bambina e il figlio di Dio mano nella mano, con forza e con dolcezza. Gesù, una storia di mani: in tutte le case, accanto al letto del doloro o quello della nascita, Dio è sempre una mano tesa, come lo è stato per Pietro quando stava affondando. Non un dito puntato, ma una mano forte che ti afferra.

Sesto momento: “Talità kum” (Mc 5, 41). Bambina alzati. E ci alzerà tutti tenendoci per mano, trascinandoci in alto, ripetendo i due verbi che i vangeli hanno adottato per raccontare la risurrezione: alzarsi e svegliarsi. I verbi di ogni nostro mattino, quando si svolge la nostra piccola risurrezione quotidiana, ci svegliamo e ci alziamo. E subito la bambina si alzò e camminava, restituita all’abbraccio dei suoi, a una vita verticale e incamminata. Su ogni creatura, su ogni fiore, su ogni bambino, la benedizione di quelle antiche parole: Talità kum, giovane vita, dico a te, alzati, rivivi, risplendi, dona.

Settimo momento. Ordinò ai genitori di darle da mangiare, di custodire e di alimentare quella giovane vita, nutrirla di verità e bellezza, di amore e generosità. Datele da mangiare, datele tutto ciò che fa ripartire la vita: la gioia, la tenerezza, la bellezza. Nutrite di sogni, di carezze e di fiducia il suo cuore bambino, con la generosità dell’accudimento, un prendersi cura che non si stanca. Compito supremo di ogni creatura è custodire delle vite con la propria vita. La casa di Giairo è il simbolo di tutte le nostre case: luoghi dove accadono miracoli, dove alla fine l’amore è più forte, dove la vita è custodita da noi e da Dio, con l’infinita pazienza di ricominciare.

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