C’è una casa a Cafarnao dove la morte ha messo il nido, una casa importante, quella del capo della sinagoga. Casa potente e incapace di garantire la vita di una bambina. Infatti Giairo ne è uscito, ha camminato in cerca di Gesù, lo ha trovato, si è gettato ai suoi piedi: “”La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva”. (E Gesù) Andò con Lui (Mc 5,23-24)”. La prima reazione di Gesù è di provare dolore per il dolore dell’uomo: ascolta il grido, interrompe quello che stava facendo, cambia i suoi programmi, e si incamminano insieme. Ed ecco che stare con il dolore degli altri diventa uno dei gesti cristiani più rivoluzionari. Nel breve tragitto tra la sponda del lago e la casa di Giairo il racconto si snoda in tre tappe simboliche.
La prima tappa. E Gesù andò con lui. Gesù consola Giairo camminando con lui verso la sua casa in pianto. Si tratta del cammino che Gesù preferisce: è la strada dell’uomo che scende da Gerusalemme a Gerico, della vita aggredita, delle situazioni limite, delle frontiere del vivere, la carne con addosso il morso del dolore. Si incamminano senza parole, il dolore non domanda spiegazioni, ma condivisione; non cerca un maestro sapiente che ne spieghi il senso – in tutta la Bibbia, per quanto lo cerchi, non troverai il perché del male -, ma uno che faccia strada insieme, su cui appoggiare le ferite del cuore. Si incamminano e con loro cammina la speranza.
Seconda tappa. Dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: “Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?” (Mc 5,35). La tempesta definitiva della morte è arrivata. Caduta anche l’ultima speranza. E allora Gesù parla, con tenerezza combattiva, e si fa argine al dolore e alla paura di Giairo: “”Non temere, soltanto abbi fede!”. (Mc 5,36). Fede in che cosa? Nella vita? No, perché nel duello con la morte la vita soccombe. Non è la vita che vince la morte, è l’amore. “Amare è dire: tu non morirai!” (Gariel Marcel). Questo dice Gesù alla bambina sconosciuta e amata. E intanto si arma, si circonda di chi ha amore: il padre della bambina, i tre discepoli prediletti, poi la madre della bimba, un piccolo gruppo che ha capito che là dove metti il tuo cuore, lì troverai anche le tue ferite. Tu continua ad aver fede. Quella che ti ha fatto uscire di casa in cerca di ascolto e aiuto, credendo in me, in un cuore buono che si lascia ferire. Anche se adesso dubiti, anche se pensi che non serva e hai tanta paura, abbi fede che Dio è una sorgente di vita e che continua a zampillare e non verrà mai meno. Abbi fede. Il contrario della paura non è il coraggio o la forza d’animo, noi non siamo degli eroi. L’antagonista vera della paura è la Fede, il fidarsi, l’affidarsi, l’aggrapparsi a una mano forte che non ci lascerà cadere.
Il terzo passaggio. “Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: “Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta ma dorme”. E lo deridevano”. Mc. 5, 38-40. È la nostra poca fede che chiama “morti” coloro che si sono addormentati nel Signore. Sono vivi, vivono nella casa del cielo, ci attendono, li vedremo, dormono. La morte è una parentesi breve di separazione, come un sonno, una notte, tra questo sole e l’altro sole.
Gesù cacciò tutti fuori di casa e impose il silenzio. Mentre si avvia a un corpo a corpo con la morte, è come se Gesù dicesse: “Entriamo con rispetto grande, portando silenzio. Che è un amore senza parole”.
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