Caro papa Francesco, un nome, una garanzia. Sono passati alcuni anni da quel “Buonasera” con cui hai aperto il tuo pontificato, condiviso fin da subito con tutti. Il verbo “pontificare”, d’altronde, significa “costruire ponti”, e tu in questi tempi ne hai gettati davvero molti…. Non sto qui ora a elencarli tutti, ma ci sono dei gesti che, anche se piccoli, possono diventare rivoluzionari. Anzi, proprio perché piccoli sono emblema di un cambiamento. Parlo di una metamorfosi di pensiero e di cultura della relazione che si misura nei fatti, e non solo nelle parole.
Vorrei ora fermarmi un momento, sospendere il tempo, così come accade quando tu fai arrestare la papamobile per scendere tra la gente, scatenando il panico nelle tue guardie del corpo. Vorrei ricordare, in particolare, quel giorno in cui, nel mezzo della folla, ti sei avvicinato senza esitare a una persona con disabilità e l’hai abbracciata, baciata e sollevata. Un gesto importante, che segna un cambiamento di prospettiva notevole e che, concedimi, prima d’ora non si era mai visto. Hai mostrato che un conto è accarezzare una persona, un conto è sentirne il corpo su di sé, compresi, nel caso della disabilità, i suoi odori e le sue deformità. Significa mettersi nel corpo dell’altro, assumerlo su di sé come il proprio. Certo è un gesto “scandaloso”, che arriva a mettere in crisi tutte le nostre sicurezze e che va ben oltre il semplice gesto di carità.
A questo proposito ricordo anche quando, durante una delle tue omelie, hai detto ai sacerdoti: “Siate pastori con l’odore delle pecore”. Ecco, è proprio questo il punto. La Chiesa deve saper annusare l’odore della disabilità, immergersi, mischiarsi e imbrattarsi all’interno di quei contesti che tutela e protegge, ma che non sempre frequenta nell’intimità.
Certo ha un odore scomodo, difficile da sostenere, accettare e accogliere. Molto più facile sarebbe allontanarlo, respingerlo o al massimo compatirlo, perché, diciamocelo, è un odore sgradevole. Eppure tu hai lasciato che impregnasse la tua veste, un po’ come il tuo gesto ha fatto nella memoria dei presenti e di quanti lo hanno seguito sullo schermo. Se questo è accaduto è perché la tua azione – il tuo fermarti e sostare – non è stata neutra ma ha provocato movimento, caos, rumore, ha rotto, cioè, uno schema consolidato di rispetto, soggezione e distanza.
E’ proprio ciò che accade quando si fa integrazione: si genera baccano, disordine, si percepiscono nuove vite e nuove presenze. Perché l’integrazione non è mai statica, è sempre dinamica. E tu, con il tuo esserti messo in gioco, hai dato l’esempio. Un ritorno alle origini la quale, come il Francesco di cui porti il nome ci insegna, la Comunità deve continuare ad aspirare. Credo sia questa, in fondo, la vera scommessa del nuovo millennio: una Chiesa che torni a comunicare e condividere con il popolo le proprie origini, senza avere paura di annusare tutti gli odori, anche i più pungenti. Detto questo, ti rivolgo il mio più sentito grazie per i tuoi gesti rivoluzionari che spero si moltiplicheranno. Ciao.
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