Nelle Chiese di antica tradizione come la nostra, a volte dimentichiamo che il Vangelo non è un bene esclusivo di chi lo ha ricevuto. Esso è anzitutto un dono da condividere, una bella notizia da comunicare. E questo “dono-impegno” è affidato a tutti i battezzati – i quali sono stirpe eletta, gente santa, popolo che Dio si è acquistato (1Pt 2,9) – perché proclamino le sue opere meravigliose. Ecco perché nel mese di ottobre (quest’anno sarà il 22), si celebra la Giornata Missionaria Mondiale (GMM). Si tratta di un tempo di grazia nel quale siamo chiamati a fare memoria del Mandatum Novum affidato da Nostro Signore Gesù Cristo, agli apostoli duemila anni fa. Quest’anno, lo slogan della GMM è: “La messe è molta”.
Esso offre numerosi spunti di riflessione, trattandosi di un’espressione di Gesù, dalla forte valenza missionaria che troviamo nei Vangeli di Luca (10,2) e di Matteo (9,37). La scelta di questa citazione biblica, è in linea con l’Esortazione apostolica di papa Francesco, Evangelii Gaudium. Ed è proprio il mondo, il campo nel quale vivere la nostra avventura di credenti. Il termine “messe”, d’altronde, riguarda da sempre, nel linguaggio comune, il raccolto agricolo. Un raccolto che, stando alle parole di Gesù, si rivela “abbondante”. Dunque è evidente che il seminatore, nella narrazione dei Vangeli, è stato Dio stesso. L’impegno missionario, pertanto, rientra nell’ottica del Regno di Dio e il compito di missionari e missionarie consiste nel cogliere i frutti di bene e di verità che si rivelano nel mondo. Da rilevare che il grano buono e la zizzania, stando sempre ai Vangeli, crescono nello stesso campo e dunque l’azione evangelizzatrice consiste nel permettere al “bene” di prevalere sul “male” e sugli oscuri presagi del nostro tempo. A questo proposito, papa Bergoglio ci rammenta che “l’umanità vive, in questo momento, una svolta storica che possiamo vedere nei progressi che si producono in diversi campi. Si devono lodare i successi che contribuiscono al benessere delle persone, per esempio nell’ambito della salute, dell’educazione e della comunicazione. Non possiamo tuttavia dimenticare che la maggior parte degli uomini e delle donne del nostro tempo vivono una quotidiana precarietà, con conseguenze funeste. (…). Il timore e la disperazione si impadroniscono del cuore di numerose persone, persino nei cosiddetti Paesi ricchi. La gioia di vivere frequentemente si spegne, crescono la mancanza di rispetto e la violenza, l’iniquità diventa sempre più evidente” (EG 52). Fondamentale, in questo contesto, il ruolo della Chiesa in riferimento all’ ”urgente” mietitura che implicitamente scaturisce dalle parole di Gesù. E’ chiaro, dunque, che l’impegno di annunciare e testimoniare la Buona Notizia è a tutto campo. Come porsi allora, fattivamente, di fronte a questa messe biondeggiante? Diceva don Tonino Bello, grande vescovo del Novecento: “Vedete, noi come credenti ma anche come non credenti, non abbiamo più i segni del potere”. Nel senso che se noi potessimo davvero risolvere tutti i problemi dei disoccupati, dei drogati, dei migranti, i problemi di tutta questa povera gente, allora, sì, avremmo i “segni del potere” sulle spalle. “Però c’è rimasto – diceva sempre don Tonino – il potere dei segni, il potere
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