Set 292017
 

Fotosearch_k1357722In tempi di crisi, come quella planetaria che stiamo attraversando, dovremmo fare di tutto per evitare due atteggiamenti ricorrenti: l’allarmismo di certe Cassandre e la spensieratezza di chi fa finta di niente. Il primo caso riguarda coloro che vedono, a ogni piè sospinto, la fine del mondo dietro l’angolo. Intendiamoci, ha ragione papa Francesco a dire che la terza guerra mondiale è già iniziata, anche se “ a pezzi”: dalla Libia all’Iraq, dall’Ucraina alla Palestina, dalla Siria alla Somalia, dalla Nigeria alla Repubblica Centrafricana, per non parlare di ebola, dei cambiamenti climatici e della crisi dei mercati finanziari.

Tutti vorremo decisamente vivere in un mondo migliore, eppure abbiamo la sensazione che l’umanità, di cui ognuno di noi è parte integrante, anziché progredire nella comprensione dei valori stia mettendocela tutta per fare l’esatto contrario. Sta di fatto che, di fronte a questi sconvolgimenti epocali, prim’ancora di chiederci dov’è Dio dovremmo, per onestà intellettuale, domandarci dove sia finito l’uomo. Ed è proprio questa la seconda tentazione da scongiurare, quella di coloro che hanno la vista corta e tendono sempre e comunque a banalizzare le implicazioni di scelte scriteriate compiute con fare altezzoso da coloro che stanno nella stanza dei bottoni.

In questo contesto, è l’evidente deficit di leadership a livello planetario che preoccupa papa Bergoglio, il quale nella sua predicazione invita tutti, credenti e non credenti, a una maggiore consapevolezza.

I mezzi d‘informazione, a questo proposito, hanno il loro carico di responsabilità, soffermandosi troppo spesso solo e unicamente sulla cronaca, omettendo le  analisi pungenti, quelle che dovrebbero denunciare gli errori del passato, quasi presumendo che guerre, pandemie e disastri ambientali siano eventi fisiologici e dunque, in modo paradossale, giustificabili. Una cosa è certa: è necessario promuovere una cultura dell’agire umano che renda tutti maggiormente partecipi del destino dell’umanità, soprattutto i poveri. “Chi non ha sofferto – scriveva saggiamente Francois de Salignac de La Mothe-Fènelon – non sa niente: non conosce né il bene né il male, non consoce gli uomini, non conosce se stesso”.

La via del riscatto esige, pertanto, il coraggio di osare partendo proprio dalle “periferie, cuore della missione”, come recita lo slogan della Giornata missionaria mondiale che si svolgerà il 19 ottobre. Prendendo lo spunto dal magistero di papa Francesco, l’obiettivo è quello di richiamare l’attenzione dei fedeli sulla centralità dell’impegno missionario per raggiungere le periferie, tutto ciò che è distante da noi, non solo geograficamente, ma anche a livello esistenziale. Essere credente, infatti, significa comprendere, col cuore e con la mente, che non possiamo essere delle semplici comparse sul palcoscenico della Storia. Le abominevoli uccisioni di bambini indifesi,  o le decapitazioni di gente innocente non possono essere prese come fatti ineluttabili. Lo stesso ragionamento riguarda, naturalmente, le speculazioni di Borsa o il florido mercato degli armamenti che minano il progresso e lo sviluppo dei popoli. Queste dinamiche vanno contrastate col pensiero forte di coloro che lottano contro le ingiustizie e le sopraffazioni senza mai perdere l’orizzonte del bene condiviso. In questa prospettiva, l’evangelizzazione nelle periferie del mondo è l’antidoto evangelico contro gli oscuri presagi del terzo millennio. Lo spirito missionario si manifesta nell’affermazione della fraternità universale, ponendo al centro dell’azione pastorale coloro che sono vittime dell’esclusione sociale e spirituale. D’altronde, come ci insegnano i nostri missionari e missionarie, rifiutarsi di amare per paura di soffrire è come rifiutarsi di vivere per paura di morire.

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