La primavera scorsa papa Francesco, in una delle sue straordinarie esternazioni, ha dichiarato: “Non andare a trovare i nonni è un peccato mortale”. Non so se si tratti proprio di un peccato né se sia mortale o veniale, ma non importa. Ciò che conta è che sia stato messo il dito su una questione fondamentale, quella del rapporto tra le generazioni. Si tratta infatti di una delle poche valvole di sicurezza nei confronti delle distorsioni di cui soffre la nostra società, nella quale la carta dei valori sembra diventare sempre più sbiadita. Molte ricerche psicologiche ci dicono che i bambini e i ragazzi, almeno fino all’adolescenza, stanno molto volentieri con i nonni. Si confidano con loro, si fanno coccolare, inventano insieme giochi spesso sconosciuti ai genitori, chiedono la loro intercessione per ottenere qualcosa che era stata negata.
Ma non solo. Spesso rivolgono ai nonni domande importanti, vogliono conoscere come era il mondo prima di loro, come si viveva nei paesi e nelle città senza internet e altri sussidi tecnici, come si comportavano i loro genitori da bambini, come si sono conosciuti e sposati. Il piccolo ha modo così di collocare se stesso in una storia, nello svolgersi di avvenimenti che riguardano la sua famiglia. Credo ne derivi una sensazione di sicurezza, di stabilità, fondamentale proprio in quel periodo dello sviluppo che spesso può generare sconcerto per la sua intrinseca variabilità. Arriverà poi il momento in cui il nipote, non più bambino, si distaccherà in qualche modo dai nonni perché il bisogno di fare nuove esperienze, di immettersi nel gruppo dei coetanei, avrà la meglio. Ma non importa. I nonni continueranno a essere latenti, dentro e dietro di lui, se il rapporto negli anni precedenti è stato intenso e proficuo. Questo per quanto riguarda i nipoti. Che cosa significa questo rapporto intergenerazionale per i nonni? Moltissimo. Significa non rinunziare a cogliere il dipanarsi della traccia della vita, significa riuscire a fare in modo che il presente, inevitabilmente impoverito, e il futuro, inevitabilmente ridotto e incerto, siano riscattati da un tesoro accumulato, un passato che continua nonostante tutto a esistere e farsi presente. E’ il segreto di quella che gli psicologi chiamano “generatività”, un “pensare per generazioni” che permette di sentirsi ancora vivi e utili anche se le forze incominciano a venire meno. Vi è mai capitato di osservare in un giardino ciò che si svolge tra un nonno e un bambino? A me molte volte e ne sono sempre rimasta incantata. Quando la cura e le preoccupazioni educative, che fanno inevitabilmente parte dei compiti dei genitori, passano in secondo piano, ci si può abbandonare alla gioia di una consonanza emotiva di cui da anni non si aveva più esperienza. Il bambino parla e il nonno lo ascolta, senza lasciarsi scoraggiare da parole incomprensibili o frasi sconnesse, preso anche lui in un sorta di cerchio magico in cui ciò che conta è lo sguardo fiducioso del piccolo e la stretta della sua manina. Questo per quanto riguarda i più piccoli, mentre per i più grandi leggere insieme o risolvere un problema di matematica sono ugualmente occasioni imperdibili che contrassegnano un rapporto straordinario di fiducia reciproca. Capita alcune volte che i genitori siano critici nei confronti dei nonni, accusati di essere troppo permissivi; “Lo vizi troppo” è il solito ritornello. Non prendetevela, nonni. Scrollatevi di dosso i compiti educativi, che spettano ai genitori, e abbandonatevi al piacere di un’affezione totalizzante. Siate consapevoli che quel bambino non è solo figlio dei suoi genitori, ma di più generazioni, di tutte quelle che lo hanno preceduto. Insomma, chi non va a trovare i nonni non commette un solo peccato mortale. Ma due! Uno verso se stesso e l’altro verso i nonni.
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