Dopo una primavera a dir poco bizzarra, è iniziata l’estate, stagione in cui le attività rallentano fino a fermarsi. La parola vacanze (dal latino vacare: essere privo di, essere vacante, “avere tempo libero per” e quindi “dedicarsi a “) dice insieme distacco dall’ordinarietà, in genere lavorativa ma non solo, e investimento del proprio tempo in qualcosa che segna discontinuità. L’estate è, infatti, tempo di riposo in cui si programmano svago e letture, sport all’aperto e viaggi, vivendo quell’ozio sacrosanto, all’occupazione febbrile finalizzata al guadagno e comunque inerente al mondo produttivo. Insomma, il vero ozio, che è altra cosa rispetto al celeberrimo “padre dei vizi” di cui parla la tradizione spirituale cristiana, non è affatto cosa semplice, che viene in automatico; da una parte si smette di lavorare, ma dall’altra questo non significa guadagnare subito in distensione e tantomeno pacificazione interiore. E’ diventato sempre più difficile, meno natura e scontato. Vanno attivate strategie di contrasto, in modo consapevole.
Non intendo qui dare risposta alla situazione sopra delineata, cosa che richiederebbe complesse argomentazioni, ma approfondire molto semplicemente il senso del “camminare”, azione la quale, tra le tante che occupano il tempo libero, è per molti fonte di soddisfazione, sicuro metodo antistress e balsamo dell’anima. L’uomo è un animale che cammina, e il cammino è la grande metafora della vita: veniamo da e andiamo verso, tutti. Quando poi il cammino diventa mettere un passo dopo l’altro per raggiungere una meta, che sia in pianura o in montagna e soprattutto nel rispetto di tempi prefissati, si prospettano altre dimensioni come la volontà e l’impegno per affrontare la fatica, l’attenzione all’interiorità intesa come necessità di ritrovare il contatto con se stessi, la motivazione del nostro andare, che va sempre di nuovo affinata. E qualora il cammino non sia solitario, si aggiunge l’immancabile condivisione di sé, più profonda di quanto si possa credere, con i noti oppure occasionali compagni di viaggio. Non a caso, un proverbio russo dice: “Se non sai se puoi fidarti di un amico, invitalo in montagna”.
Mi sembra che l’estate sia momento propizio per tornare a sperimentare la saggezza dei piedi, dei passi misurati e sicuri, delle gite in compagnia, del viaggiare lento. Ricordando che “al di là degli anni – come scrive il filosofo Duccio Demetrio – il disagio di vivere, o il bene di cui abbiamo goduto, traspaiono da come camminiamo”.
C’è una forma di cammino di tipo religioso che è il pellegrinaggio. I mesi estivi sono anche, per molti, giovani o meno, tempo opportuno per visitare uno di quei santuari di cui è costellata la nostra penisola ma anche l’Europa tutta. Solo in Europa occidentale, secondo un recente censimento, vi sono almeno 6mila chiese che rientrano nella categoria di santuario, metà delle quali in Italia. Esse costituiscono, in un continente secolarizzato, una capillare geografia della grazia che mette in movimento ampie quote di popolazione, di gente che cammina coi piedi e col cuore anche quando utilizza pullman Gran Confort. Si tratta del fenomeno noto come religiosità popolare che, guardato in anni passati con una certa aria di sufficienza, continua a fiorire arricchendo di frutti una Chiesa le cui file si assottigliano sempre più. Insomma, c’è gente che parte, a piedi o come può, per incontrare Dio e le sue manifestazioni, affinché la vita non si inaridisca.
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