Lug 082017
 

vaticano_-_chiesa_300_x_406Per Antonio la Chiesa, che egli definisce “anima fedele”, è una realtà semplice, umile e fraterna. Proprio perché rifugge dalla logica del potere, essa non si arrocca a difesa dei privilegi né attacca i nemici, ma cammina tra gli uomini, condividendone la realtà.

All’epoca di Antonio la parola “ecclesiologia” non esiste, e non c’è neppure una vera e propria teoria sistematica sulla Chiesa. Tuttavia la questione circa la natura della Chiesa è viva, e Antonio certamente non la trascura. Anzi, la sua visione si dimostra di sorprendente attualità. Per quanto riguarda la comprensione che la Chiesa ha di se stessa, Antonio vive in un momento di passaggio. La formazione agostiniana gli  ha insegnato una visione misterica e sacramentale, su base patristica. Ma ecco che  a questo modello si va sostituendo quello sociologico-giuridico, con la Chiesa considerata alla stregua di un impero. E’ il modello della sacra potestas chiamata a reggere le sorti del mondo. Antonio non rifiuta l’idea di istituzione, ma indica le priorità. L’istituzione ha ragione di esistere se è espressione di una robusta spiritualità, la scelta deve essere quella della fraternità, del servizio  e della povertà, contro la tentazione del potere e della ricchezza. La forza della Chiesa è la croce, e gli uomini di fede tradiscono il mandato evangelico quando si servono di strutture politiche e militari per diffondere la fede e contrastare le eresie.

L’unico strumento riconosciuto da Antonio come legittimo è la predicazione, perché la fede può nascere e crescere solo nella libertà.

La visione di Antonio è dunque quella francescana: una Chiesa semplice, umile, fraterna e povera. Tuttavia, come detto, l’istituzione non è rifiutata. Lo spiritualismo di Antonio non ha nulla in comune con quello di Gioacchino da Fiore (che attendeva l’avvento di una Chiesa tutta spirituale, in grado di sostituire quella istituzionale) o con quello del monachesimo radicale, secondo il quale la scelta obbligata doveva essere la netta separazione dal mondo. Per Antonio l’istituzione ha una funzione, ma l’importante è che le strutture siano al servizio della santità, che siano, cioè, strumenti dello Spirito di Cristo.

Proprio perché rifugge dalla logica del potere, la Chiesa di Antonio non si arrocca a difesa dei privilegi né attacca i nemici. E’ invece una Chiesa che cammina in mezzo agli uomini, condividendone la realtà. Centrale è il ruolo dello Spirito Santo. E’ lo Spirito che rende la Chiesa madre e che, attraverso i santi, la riconduce alla sua natura autentica, quella di Chiesa di Cristo e non degli uomini. Di qui l’accettazione, da parte di Antonio, della definizione di Chiesa come “congregazione dei fedeli”, al di là del ruolo ricoperto da ciascuno. Ciò che importa non è essere chierico o laico, ma vivere santamente. Non a caso, quasi come sinonimo di Chiesa, Antonio usa l’espressione “anima fedele”. E lo fa anche in modo polemico: “Ditemi, o falsi profeti, che cosa è la Chiesa se non l’anima fedele?” (Sermoni, 529). Subito dopo Cristo, la prima “anima fedele” è Maria, poi vengono gli apostoli, i martiri, i confessori. L’unica gerarchia importante, per Antonio è quella dello Spirito, non quella delle funzioni. Nel passaggio dalla Ecclesia veritatis (comunità di fedeli uniti in Cristo) alla Ecclesia auctoritatis (apparato istituzionale con ruolo di mediazione tra l’uomo e Dio), Antonio si pone dalla parte della prima. Il solo pontifex da lui riconosciuto è Cristo. Per Antonio la vera autorità è quella che lega e scioglie in relazione al peccato. E’ l’unico potere che conta e appartiene ai vescovi e ai preti. Si diceva dell’attualità della visione ecclesiologica di Antonio. Come non vedervi moltissime affinità con quella di papa Francesco?  

Sorry, the comment form is closed at this time.