La parabola del ricco “epulone” narrata dal Vangelo non può legittimare atteggiamenti fatalistici o strutture economiche consolidate in cui i ricchi diventano sempre più ricchi a danno dei poveri resi sempre più poveri. Questa legittimazione sarebbe una caricatura del vangelo: qui un ricco egoista, intento a godersi i piaceri della vita, non riesce a vedere le sofferenze di chi giace alla sua porta. Gesù denuncia tale cecità e la chiusura a cui la ricchezza fatta idolo può portare. Allo stesso modo l’“orgia dei dissoluti”, di cui parla la prima lettura, rivela la non disponibilità ad accogliere la parola di Dio come criterio del vivere e porta in sé il giudizio di condanna: non c’è insulto maggiore alla condizione dei poveri del lusso sfrenato esibito dai ricchi. A sua volta Paolo, nella seconda lettura, oppone all’ideale di vita dei falsi cristiani il modello del vero discepolo di Cristo, esempio di quella fede di cui ha fatto professione e nella quale persevera anche in mezzo alle difficoltà.
Allora “c’era un ricco e c’era un povero”, ma oggi “ci sono tanti ricchi (e dobbiamo sentirci così anche noi!), che non si accorgono dei tanti poveri sempre più poveri che stanno alla porta.”
Qual è il vero peccato del ricco della parabola? non di essere ricco, ma di non accorgersi del mendicante, di non fare attenzione a chi si attende un aiuto, di non riconoscere come fratello quel povero, insomma: di pensare solo a se stesso.
Forse diceva: non è colpa mia se Lazzaro è povero, io non gli ho fatto niente di male! Ma non gli ha fatto neanche niente di bene, e questo è altrettanto grave.
Dobbiamo pensarci. Lo spreco, il volere l’abito o le scarpe o la cartella di scuola firmati, le vacanze più dispendiose, e che so io: rischiano di metterci nella situazione del ricco della parabola.
Gesù non si sofferma a descrivere la vita dei due, fa soltanto pochi cenni. Ma ‘è un particolare: del povero fa il nome, Lazzaro, del ricco invece no.
Di solito, per noi è più facile conoscere, ricordare e citare i nomi e i titoli delle persone importanti, e tra-scuriamo i nomi di quelli che ai nostri occhi sono insignificanti. Noi forse avremmo detto: c’era un ricco, il signor Tal dei Tali, e c’era un poveraccio che chiedeva l’elemosina…
Gesù, precisando il nome del povero e non del ricco, ci rivela che agli occhi di Dio non ci sono le personalità, ci sono le persone; e se ha delle preferenze, queste riguardano i poveri. Potessimo dire: la preferenza. Dio ce l’ha per noi, che ci riconosciamo poveri davanti a lui.
La parabola sembra la storia di uno che va alla perdizione – ma è più giusto dire che è la presentazione di Dio misericordia e giustizia insieme, perché non ci può essere misericordia senza giustizia.
Non è Dio a volere che uno si perda, siamo noi stessi capaci di determinare la nostra sorte futura.
E c’è questa frase: “tra noi e voi è stabilito un grande abisso”. Questo “grande abisso” non è di spazio, è quello che può essere scavato dal nostro orgoglio e dal nostro egoismo, e che separa da Dio.
Questo abisso lo possiamo superare non nell’aldilà, ma quaggiù, se sappiamo ascoltare ora la parola di Gesù e credere che questo è il tempo dell’amore vero.
Facciamo nostra la preghiera presentata al Signore poco fa: O Dio, tu chiami per nome i tuoi poveri, mentre non ha nome il ricco; stabilisci con giustizia la sorte di tutti gli oppressi, poni fine all’orgia degli spensierati, e fa che aderiamo in tempo alla tua Parola, per credere che Gesù Cristo è risorto e ci accoglierà nel tuo regno. Amen.
Sorry, the comment form is closed at this time.