Vivere è l’infinita pazienza di ricominciare, che il profeta Geremia illustra così: “Scesi nella bottega del vasaio, ed ecco, egli stava lavorando al tornio. Ora, se si guastava il vaso che stava modellando, come capita con la creta in mano al vasaio, egli riprovava di nuovo e ne faceva un altro, come ai suoi occhi pareva giusto” (Ger 18,3-4). Il Vasaio non butta mai via la creta: non ti getta via, ti riprende in mano, ti rimodella con la forza paziente delle sue mani, guidato dal sogno di ciò che puoi diventare. Un detto rabbinico: per noi lavorare con vasi rotti è una sciagura; per Dio è un’opportunità.
Lui è venuto per le anfore spezzate, per i cuori infranti, sa come servirsene. Anzi, pare che le pietre scartate siano quelle che poi gli sono servite meglio tra le mani. Penso a Pietro, a Saulo, alla Maddalena, a sant’Agostino: noi siamo i vasi rotti di Dio.
Le anfore spezzate non possono più contenere l’acqua, ma possono essere disposte in modo da formare un passaggio attraverso cui l’acqua può scorrere libera e arrivare alla sete di altri. Invece che buttarli via, Dio ripara proprio quei cocci che a noi paiono inutili – misericordia è l’arte di riparare – , oppure li dispone in modo diverso, così che siano ancora utili alla missione santa dell’acqua.
“Dio può riprendere le minime cose di questo mondo senza romperle, meglio ancora, può riprendere ciò che è rotto e farne un canale” (Fabrice Hadjadi), attraverso cui l’acqua e il vino scorrano e raggiungano le persone che Lui ha posto a sedere alla tavola della mia vita.
Kintsugi è una tecnica dei ceramisti giapponesi: quando un vaso si rompe, le linee delle fratture vengono riempite d’oro. In questo modo la crepa non è occultata, ma valorizzata. L’oro viene usato come collante e quel corpo rotto si riempie di legami preziosi. Alla base di questa tecnica c’è la convinzione che quando un oggetto ha una storia, e ha subìto qualche ferita, diventa più bello. Qualcosa di simile accade anche per le persone.
Oro invece di una sostanza adesiva invisibile. E la differenza è tutta qui: occultare l’integrità perduta o esaltare la storia della ricomposizione? Fare come se niente fosse successo o inventare una festa per il figlio prodigo che torna? La misericordia trasforma le ferite della vita in feritoie: il Risorto si presenta ai discepoli con le sue ferite aperte, da cui, però, non sgorga più sangue, ma luce. Il nostro mondo fa fatica a fare pace con le crepe. “Spaccatura, frattura, ferita” sono percepiti come l’effetto visivo di una colpa. La nostra esistenza, la storia di ciascuno è invece integrità e rottura insieme, caduta e ripartenza, ri-composizione costante ed eterna.
E’ attraverso la ferita, la fragilità, che il nuovo entra in noi, come per una ceramica del Kintsugi, come per certe icone dove una pietra scheggiata accoglie, in quel piccolo grembo, una goccia d’oro. Ed è la mite e possente energia dello Spirito creatore che non solo ci ripara, ma ci rende più belli di come eravamo. Nessuno autosufficiente, nessuno infrangibile. Là dove metti il tuo cuore, lì troverai la tua ferita. Che può diventare feritoia: le sole mie parole che hanno fatto bene a qualcuno sono quelle che prima mi hanno fatto soffrire: “C’è una meravigliosa provvidenza nelle spine” (eremo di sorella Maria di Campello). E’ possibile rendere belle e preziose più di prima le “persone” che hanno sofferto o sbagliato: questa tecnica si chiama “misericordia”.
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