Con la parabola dell’uomo ricco che dispone di molti beni il vangelo propone di riflettere sul senso ultimo e sulla destinazione della nostra vita. Ogni giorno siamo messi a confronto con la sua inevitabile provvisorietà. Può ciò che è destinato a svanire diventare il fondamento stabile su cui co struire la vita? Il messaggio sapienziale di Qoelet, nella prima lettura, per quanto velato da un evidente pessimismo, non è disfattista: esso invita a prendere in considerazione la precarietà delle nostre conquiste terrene, ci confronta con il limite di ogni realtà umana e, se parla di distacco dalle cose terrene, è per orientare la nostra ricerca più in profondità. Il suo messaggio risulta così in totale sintonia con quello del vangelo: arricchire davanti a Dio è più importante che accumulare tesori per sé. In tal senso va intesa anche l’esortazione paolina della seconda lettura: Cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo risorto!
Tutto è un soffio di vento, è un vuoto infinito, tutto è vanità. Queste parole che abbiamo sentito nella prima lettura sembrano espressione di pessimismo, ma in realtà sono un invito a valutare bene le cose che fanno parte della nostra vita.
Tutto quello che nel nostro cuore scalza e sostituisce ciò per cui siamo creati, cioè scalza e sostituisce Dio, e ce lo fa dimenticare, tutto questo è vuoto. Il lavoro, la casa, il denaro, il godimento, il potere…: tutto è vuoto, se a queste cose diamo più importanza che a Dio.
Ma tutto ha valore, hanno valore infinito anche le cose più semplici, più quotidiane, le solite cose che facciamo, i nostri affetti soprattutto, se diamo a Dio il primo posto.
Per insegnarci a guardare agli affari terreni con un giusto criterio, Gesù racconta una parabola dove l’errore del protagonista non è stato quello di darsi da fare, ma la identificazione pratica della propria vita con ciò che possedeva, credendo di trovare la felicità nei beni posseduti.
Ma non è quello che avviene troppo spesso attorno a noi, e forse anche per noi? Si parla del nostro tempo come di epoca del benessere e del consumismo, ma queste belle parole non indicano la preminenza del materiale sullo spirituale? Per quanto sia concreto il denaro, agli occhi di Dio, e cioè per quello che conta in assoluto, è vanità, è vuoto. Chi si è portato il denaro, o altre cose, nell’aldilà?
Gesù definisce stolto l’uomo della parabola. Stolto perché non ha saputo usare l’intelligenza per discernere i veri beni; ha lavorato, ha faticato, ha fatto progetti, ha programmato… ma per niente! I suoi calcoli risultano completamente sbagliati, perché di fronte alla morte tutti i progetti dell’uomo svaniscono, cioè si dimostrano vani.
Stolto, questa notte ti accorgerai – troppo tardi! – che il vero orizzonte non sta nel ripiegarsi su se stesso, non è nella cupidigia e nell’egoismo, ma è quello che si apre al giudizio di Dio e che sa accogliere anche gli altri. L’orizzonte largo, spazioso, meraviglioso di chi sa capire la vita come dono di Dio, e i beni di questa terra al servizio di questo dono, la vita, in noi e negli altri.
E’ questo l’insegnamento primo della pagina del vangelo ascoltata. Ma c’è anche dell’altro. Essa inizia riportando il rifiuto da parte di Gesù a intervenire in una questione di eredità: chi mi ha costituito giudice sopra di voi?
Noi sappiamo che Gesù invece è davvero nostro giudice, e che alla fine, dopo averci esaminato sulla carità, pronuncerà la sentenza definitiva: venite, benedetti; o: andate, maledetti… Rifiutando di intervenire su questioni di affari, egli rivendica per sé la missione di annunciare la verità e la libertà, di rivelarci il mistero dell’amore di Dio, di comunicarci la vita di figli di Dio – e così ci fa capire che solo questo non è vanità.
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