Al centro del vangelo di oggi sta la preghiera che Gesù consegna ai suoi discepoli: il Padre nostro. Essa rappresenterà la loro “identità”, il modello sul quale costruire ogni dialogo di fede con il Padre: in essa i cristiani chiedono a Dio di realizzare sulla terra il suo regno e si impegnano a non frapporre ostacoli, anzi ad offrire la loro collaborazione. La condivisione del pane e il perdono reciproco ne saranno le manifestazioni concrete. In modo simile il dialogo tra Abramo e Dio, nella prima lettura, evidenzia il ruolo di “mediazione” che la preghiera può assumere: un continuo intercedere, affinché il Padre mostri il suo volto di misericordia. Nello stesso orizzonte si pone la seconda lettura, in cui Paolo riassume il significato della salvezza offerta attraverso Gesù proprio nel perdono dei nostri peccati e nel renderci partecipi della vita divina.
“Non passar oltre senza fermarti!” – così Abramo a quelle tre misteriose persone di cui si parla nella prima lettura, nelle quali riconosce il passaggio del Signore.
E per noi, nella nostra vita, non avverrà mai un passaggio del Signore? Sì che avviene: Una ispirazione che ci suggerisce qualcosa di buono; una parola ascoltata in chiesa o letta nella bibbia; una circostanza di gioia o di dolore; in particolare qualsiasi esigenza di carità che ci viene dai fratelli: “Chi accoglie il più piccolo dei miei discepoli accoglie me” ha detto Gesù. Sono altrettanti passaggi del Signore. Guai a noi se lo lasciamo passare oltre, se non gli chiediamo di fermarsi, se non gli offriamo ospitalità, cioè se lasciamo passare invano queste sollecitazioni e non diamo una risposta con i fatti. Guai a noi, non tanto perché ci sarà un castigo, quanto perché ci escludiamo da soli dall’intimità con Dio.
Dio accetta di essere nostro ospite, vuole esserlo; solo che dobbiamo stare attenti al suo passaggio.
Le letture di oggi ci orientano a riflettere sull’ospitalità. Vorrei insistere su quella ospitalità che dovremmo saper offrire al Signore.
Nel vangelo Gesù è ospite di una famiglia di amici suoi: i fratelli Lazzaro Marta e Maria.
Il Signore aveva detto di se stesso: non ho “dove posare il capo”; va peregrinando in terra di Palestina, e vi sono quelli che lo allontanano, ma c’è anche gente che lo accoglie e offre da mangiare a lui e al gruppetto degli apostoli. Il dono più bello però lo fa sempre lui, con la sua presenza e la sua parola.
Il racconto del vangelo mette in evidenza due modi diversi di accogliere il Signore, uno rappresentato da Marta, l’altro da Maria.
Gesù elogia Maria che sta lì ad ascoltarlo, e ricorda una verità da lui più volte ripetuta: nella scala dei valori, quello più alto è l’interesse per il Regno di Dio; questo interesse si traduce nella carità, ma ha come alimento la preghiera. Darsi continuamente da fare, anche a fin di bene, ma non trovare il tempo per un rapporto con Dio: questo è lo sbaglio.
Ma Gesù un elogio lo fa anche a Marta, che pare essere il capo-famiglia: è lei che prende l’iniziativa e invita Gesù, e che questi abbia accettato l’invito costituisce di fatto una lode per la padrona di casa e il suo lavoro.
Il Signore tuttavia le fa un richiamo perché si lascia travolgere dall’agitazione, dalla dispersione. Voler star dietro a tutto, preoccuparsi di mille cose: questo Gesù rimprovera a Marta. Cosa vuol dire “pre-occuparsi”? vuol dire occuparsi in primo luogo. Gesù dice: fa’ un po’ di ordine in te stessa, e metti in primo luogo quello che vale più di tutto: orienta a Dio anche la tua attività.
Mi pare che di questa esortazione abbiamo tutti bisogno: di quante cose non essenziali ci pre-occupiamo!
Non mi pare troppo difficile invece saper mettere Dio al primo posto. Forse basta un po’ di attenzione. Scrive sant’Agostino: “Temo il Signore che passa”; non ha paura del Signore, ha paura di lasciarlo passare senza accorgersene e senza ospitarlo.
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