Giu 182016
 

volto-di-GesùAl centro del vangelo di oggi sta la domanda sulla identità di Gesù. Egli provoca i discepoli, e con essi i credenti di ogni tempo, a dire che cosa pensano di lui e della sua missione. Pietro, a nome anche degli altri, lo riconosce come «l’inviato di Dio»: non però un messia che eserciti un potere terreno, come era nelle attese allora correnti, ma come rivelatore dell’amore di Dio. Quale sarà, dunque, la modalità in cui egli esprimerà questo amore divino?

L’immagine del “trafitto”, nella prima lettura, è una  figura eloquente che ci richiama alla croce di Gesù. La croce, però, è ora per noi il segno della profonda trasformazione che Dio opera nei cuori di chi accoglie Gesù come il Cristo.

Ai cristiani, infatti, la seconda lettura ricorda che lui soltanto crea unità in noi e tra di noi, lui soltanto è via alla piena salvezza.

Una particolare annotazione: Gesù pregava…

E una seconda: Gesù non dice: vi comando di essere miei discepoli… ma: se uno vuole… Quella particella ‘se’ sta a indicare un appello alla libertà. Nessuno è costretto a essere mio discepolo, ma se uno vuole…

Sono anche per noi questi due elementi: metterci in un clima di preghiera: – e sentirci interpellati nella libertà: essere discepoli di Gesù è dono suo, un dono che siamo capaci anche di rifiutare, ma al quale siamo capaci anche di dire di sì.

Ripensiamo a quanto abbiamo ascoltato.

Intanto, immagino che anche voi qualche volta abbiate pensato: se io fossi vissuto al tempo di Gesù, e lo avessi visto e sentito, cosa avrei detto di lui? Ora qui ci viene riferito quello che i suoi contemporanei pensavano di Gesù: quasi tutti, anche chi gli si opponeva, riconosceva che era un personaggio straordinario, molti arrivavano a dire che era un inviato di Dio, un profeta come Elia e come Giovanni Battista.

Ma Gesù sembra non interessarsi del parere della gente; quello che gli sta a cuore è la risposta dei discepoli. E quando questi affermano di credere che egli è il Cristo di Dio, cioè il Messia, il Salvatore, egli li aiuta a tirare le conseguenze da questo atto di fede. Credere in lui come Salvatore significa volergli bene, pensare a lui, parlare con lui, ma soprattutto accettare anche la croce, perché prima l’ha accettata lui. Credere in Gesù vuol dire riconoscere che l’amore di Dio è arrivato a noi per la strada della umiliazione di Gesù stesso, la strada della passione, la strada della croce “Il Figlio dell’uomo, disse, deve soffrire molto, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, esser messo a morte e risorgere il terzo giorno”

– e allora la nostra risposta di fede e di amore non può che ripercorrere le stesse strade: “Se uno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua”.

E cosa vuol dire “rinneghi se stesso”, e poi “perdere la propria vita”? Vuol dire uscire dall’egoismo; alla radice di ogni peccato c’è l’egoismo, c’è il voler mettere se stessi al centro – mentre il centro è Dio, e si arriva a lui se veramente lo facciamo il centro della nostra esistenza. Occorre mettere la propria vita nelle mani di Dio, giorno per giorno, affidarsi a lui, godere dei suoi doni ma non tirarsi indietro quando la vita esige delle rinunce.

E’ una pagina molto programmatica, questa, per chi vuole essere discepolo di Gesù, cioè cristiano, cioè ancora – come è detta nella seconda lettura – vivere nella fedeltà al battesimo da figlio di Dio.

Comunque dovremmo sentir risuonare dentro di noi la domanda di Gesù: Ma voi, ma tu, chi dici che io sia? – per dare una risposta non di parole, ma di adesione nella vita quotidiana.

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