Apr 132025
 

… E COMINCIO’ A

LAVARE I PIEDI

AI DISCEPOLI.

Il Giubileo ci pensa come pellegrini incamminati verso la Porta Santa. Ogni porta evoca passaggio, chiama ad attraversare, entrare; non è un luogo per stare, ma per passare oltre, come suggeriscono le parole che usiamo per l’ospite: entra, non restare sulla porta. La porta è la separazione tra dentro e fuori, tra un prima e un dopo, tra noi e il resto del mondo.

Però la porta è indispensabile. Senza porte una casa è invivibile, in balia di tutti, senza intimità e sicurezza. Non puoi starci bene. Se invece la guardi cambiando prospettiva, da dentro verso fuori, se non ci sono porte non puoi uscire e allora quello è un carcere. Quante sono le porte sante? Innumerevoli. Quando negli anni della mia infanzia erano tanti i poveri che vagavano di paese in paese, di casa in casa, in cerca di una fetta di povera polenta! Ho nitido il ricordo di quei poveri che arrivavano con un sacco in tracolla e chiedevano una stalla per dormire al caldo. Spesso arrivati sulla soglia di casa, si fermavano, si scoprivano il capo, si facevano il segno della croce, come davanti ad un’immagine sacra. Poi si rivolgevano alla padrona di casa… Allora la mamma mandava me bambino e mio fratello più grande a prendere una misura di farina dalla madia accanto al focolare, una fetta di polenta e un pezzo di formaggio per portarla al povero fermo alla porta che intanto mormorava preghiere per i vivi e i defunti della casa. Ho ancora nell’orecchio quel mormorio di orazioni. La porta, il pane, la preghiera e non c’era bisogno di altre parole. C’era tanta sacralità, non solo nelle orazioni del povero, nel gesto del pane o della polenta o nella persona del povero, la sacralità era quella della porta di casa.

In questo giubileo della speranza, sono molte le porte sparse per diocesi, santuari, cappelle. Ma, oltre a queste abbiamo tutti nelle nostre case una porta, un cancello, un’apertura che ci può parlare quotidianamente, che forse possiamo vivere come simbolo e segno religioso.

La porta ha due direzioni, per entrare e per uscire. Per passare dal mondo vasto ed estraneo al tuo mondo personale, organizzato attorno ai tuoi punti di riferimento. Entrare e uscire è già un passare da dentro a fuori, dall’esteriore all’interiore, dal sacro al profano, come nei templi.

Presso i latini il dio deputato a proteggere le porte era Giano raffigurato bifronte, mentre guarda al tempo stesso l’interno e l’esterno. Vegliava sulle porte della città o della casa, proteggeva l’entrare e l’uscire. In latino porta si dice “janua”; anche il primo mese dell’anno è chiamato “januarius”, il “portiere” che apre e chiude la porta tra due anni la porta del tempo. 

Gesù ha detto di sé: “Io sono la porta, se uno entra è salvo, entrerà, uscirà e troverà pascolo”. Ogni mattino anch’io, quando esco di casa attraverso la porta, compio un rito simbolico e forse inconsapevole. Pensate che bello sarebbe se potessimo viverlo come un momento santo, stare per un attimo dentro l’abbraccio di Cristo – porta che “se tu esci, con te viene, con te rientra ora e sempre”, – dandoti il necessario per affrontare la vita, per coltivare i passaggi vitali. Al mattino perciò passa la porta, stai per un attimo dentro quell’abbraccio, alza gli occhi, apri il cuore, accogli il mondo e il mondo accoglierà te.

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