Gen 112025
 

IL PRIMO  PERIODO

DI RESPONSABILITÁ

A MONTE  BERICO

IL PRIMO  PERIODO DI RESPONSABILITÁ A MONTE  BERICO E  LE  PROVE  DELLA  “GRANDE  GUERRA”    (1915-1918)

Gioachino arriva a Monte Berico il 28 marzo 1915, iniziando così il suo secondo periodo vicentino, che coincide con il suo primo “priorato” nella comunità di frati che servono il grande santuario mariano. Questi anni saranno una feconda ed intensa fase del suo cammino interiore, caratterizzato da un’impegnativa attività apostolica.

Egli inizia subito ad immedesimarsi nel suo nuovo servizio di priore del convento, non senza disagevoli scogli, dovuti alla situazione incontrata. Egli coltiva personalmente ed offre a tutti l’esempio della sua carica spirituale, aliena da qualsiasi quieto o comodo vivere la vita religiosa; ma il compito di priore richiede tutta una serie di oneri ed impegni, anche esterni, che finiscono per creare un certo disorientamento nella comunità religiosa.

Scrive lui stesso al Padre Generale, il suo amico e confidente P. Lépicier: 

“Io mi trovo qui con l’animo oppresso, e non potrei resistere, se non mi sollevassero i cari pensieri di fiducia e di abbandono nel Signore e nella Madre nostra Santissima. … A causa delle occupazioni esteriori, temevo che avrei dovuto rinunciare a quella vita interiore di cui il Signore, da qualche tempo, mi aveva fatto gustare la bellezza. Invece Gesù mi ha prevenuto ed ha premiato la fiducia riposta in Lui”  (10.4.1915).

Inizia anche il suo ministero di servizio religioso nel santuario di Monte Berico, dedicandosi in modo particolare alla predicazione, con un’espressiva accentuazione mariana. 

Però, il campo della sua principale attività è subito il ministero della confessione dove, attraverso un’illuminata direzione spirituale, trasmette la sua tensione interiore ad anime devote. Ristabilisce i contatti epistolari con alcune delle sue figlie spirituali conosciute ed accompagnate già a Venezia e là entrate nel gruppo della “Piccole vittime”. Riprende i contatti spirituali anche con le cugine Nilde Maule e Fausta Caneva, e per mezzo di quest’ultima incontra Maria Fogazzaro, figlia di Antonio, grande poeta vicentino. 

Sono approcci gravidi di progetti, nel tentativo di attuare una “idea” che già da tempo brulica nella sua mente e nel suo animo, e cioè 

“sul come venire in aiuto efficace alle vergini che vivono in famiglia, impedite per qualunque motivo di volare nei chiostri”  (7.9.1915).

Quasi a completamento di questi profondi rapporti, è decisivo e fondamentale l’incontro con Emanuela Zampieri, avvenuto al confessionale di Monte Berico il 28 luglio 1915. Con lei, giovane maestra delle scuole elementari, P. Gioachino inizia un’austera e mirata direzione spirituale, pervasa dal vivo senso dell’amore del Padre e segnata dai primi germi del progetto della Famiglia delle Figlie di Dio. 

È certamente un avvio carico d’entusiasmo, ma non privo di gravi difficoltà. Oltre a quelle già accennate, interne alla comunità dei frati, ce n’è una esterna, gravissima: l’entrata in guerra dell’Italia. 

La prima guerra mondiale –  detta anche “Grande guerra” –  era iniziata già nel luglio 1914, ma l’Italia si era dichiarata neutrale. Solo nel maggio 1915 vi entra a far parte, sperando di liberare ed annettere le regioni del nord ancora sotto il dominio dell’Austria. La regione del Veneto è quindi pienamente colpita dalle vicende belliche; anche Vicenza viene dichiarata zona di guerra, e subito inizia la chiamata di frati e giovani aspiranti al servizio militare.

In queste situazioni, già difficili in sé e rese a volte drammatiche per le vicende della guerra, si nota un’intensificazione della vita interiore di P. Rossetto. Infatti, egli è portato a radicalizzare l’abbandono nell’amore del Padre, infondendo nei suoi conoscenti e nelle anime che egli accompagna la suadente ricerca della volontà di Dio.

Affidarsi alla volontà del Padre, infatti, è una costante nel sentire di P. Gioachino, e rivela il risolutivo dono di se stesso al Padre nell’offerta di Cristo, in cui acquista significato e fecondità. Ad una figlia spirituale scrive: 

“Ti voglio ardente di amore per il Babbo santissimo, fortissimo, soavissimo: è il Babbo che Gesù ti acquistò con il suo sangue. … Gesù è nelle tue mani per essere offerto al Padre, e tu sei nelle mani di Gesù per essere offerta al Padre. Tutto per il Padre. Tu offri Gesù al Padre più spesso che puoi, ed Egli offrirà te”  (3.8.1915).

Ad un’altra scrive: 

“Una grazia chiederò per te in modo speciale: la disposizione umile, tranquilla, fiduciosa, amorosa per cui sarai contenta che il Signore Dio faccia di te, o in ciò che ti riguarda, la sua santa ed adorabile volontà, ben sicura che quella volontà ti porterà al massimo bene per te, essendo la volontà di Chi sa tutto, può tutto, e ti ama immensamente e tenerissimamente, anche se né tu, né altri, possiamo sempre capirlo con la nostra intelligenza, così corta e cieca”  (18.11.1915). 

L’impegno presso il santuario mariano di Monte Berico si fa sempre più pressante e coinvolgente, tale da assorbire l’attività di P. Rossetto, teso verso una pietà mariana meno effimera e più incisiva. 

In particolare, le drammatiche circostanze della guerra favoriscono la riscoperta della devozione alla Vergine Addolorata: il dolore della Vergine riassume le diverse sfaccettature della sofferenza del credente e lo unisce al Corpo donato e al Sangue versato del Signore Gesù. È una pietà mariana impregnata di spirito di riparazione, profondamente sentita dai fedeli, e che acquista uno sviluppo sempre più importante nel santuario di Monte Berico proprio ad opera di P. Gioachino.

Con il proseguire della guerra, ormai la chiamata alle armi rende sempre più precaria la situazione dei conventi dell’Ordine nel Veneto. Lo stesso P. Gioachino è “dichiarato abile al servizio militare”. Per non essere inviato al fronte, nell’ottobre del 1916 viene nominato cappellano di Follina.

Follina è un piccolo paese della provincia di Treviso e diocesi di Vittorio Veneto, adagiato ai piedi della montagna, ad una distanza di circa 120 Km. da Vicenza. Un’antica abbazia del secolo 13°, che ospita una semplice statua in pietra della Vergine Maria, da molti anni è considerata santuario mariano. Nel 1915 ne viene affidata la cura ai Servi di Maria che, d’accordo con il vescovo di Vittorio Veneto, prendono pure la responsabilità della parrocchia. Il primo parroco è P. Anacleto Milani che, come abbiamo già visto, è fraterno amico di P. Rossetto, il quale si dichiara contento di aiutare il Padre parroco.

Per circa un anno, quindi, fino all’estate del 1917, P. Gioachino alterna la sua presenza tra Follina e Vicenza, con ritorni pressoché mensili a Monte Berico, per una continuità, seppur minima, dei suoi impegni con la comunità religiosa e con il santuario vicentino. 

Della sua presenza e del suo lavoro a Follina egli scrive: 

“Sono qui, dove spero di rimanere a lungo, e rendermi debitore a queste anime di un po’ di gloria in cielo. No per la mia gloria, mai! ma solo per poter dare a Dio maggior gloria, e amarlo di più, e farlo amare di più. Siamo operai nella sua vigna. … Che dal mattino alla sera, e dalla sera al mattino, ogni nostro respiro sia solo per Lui”  (10.11.1916).

Nonostante la precarietà della situazione ed il continuo suo movimento da un posto all’altro, questi mesi segnano un’interessante fase della produzione letteraria di P. Gioachino. Pubblica un piccolo libro sulla devozione alla Vergine Addolorata ed anche diverse meditazioni di commento al “Padre nostro”, segno evidente della sua ormai raggiunta maturità spirituale nel rapporto con il Padre.

Anche a Follina egli intreccia rapporti spirituali con anime devote, nella decisa volontà di configurare un’istituzione che sia testimonianza ed annuncio dell’amore paterno di Dio. 

In questo fervore di spirito, P. Gioachino ha cura di tener viva tutta una corrispondenza con le anime da lui conosciute e seguite, pur nel disagio di non poterle sempre incontrare di persona. Ha però modo di riallacciare il colloquio spirituale con una giovane penitente delle “Piccole Vittime” di Venezia, Elsa Gasparini, che viene in vacanza a Follina; con lei incomincia ad esporre esplicitamente il progetto di 

“formare una Famiglia di vergini viventi nel mondo, al posto di lavoro assegnato loro dalla divina provvidenza, consacrate totalmente a Dio”  (Memorie della Famiglia, settembre 1917).  

Dal mese di ottobre 1917, in seguito alle vicende della guerra sfavorevoli all’Italia, Follina torna sotto il dominio dell’esercito austriaco. Per oltre un anno, fino a dicembre del 1918, P. Gioachino rimane forzatamente isolato, lontano dal suo convento di Monte Berico, senza poter comunicare neppure per posta. 

Egli però continua a coltivare in se stesso la forte percezione dell’abbandono in Dio. Scrive ai suoi familiari: 

“Fra il trambusto e la paura di molti, io resto quieto e tranquillo nelle mani di Dio, e mi sforzo di infondere la calma in quanti più posso… Non sono mai stato così contento come ora, che meglio mi sento di Dio e in Dio… Io resterò qui con il mio parroco finché vi resta uno della mia cara popolazione”  (5.11.1917).

Famiglie intere, infatti, di fronte alle violenze dei soldati austriaci, fuggono da Follina. Se ne vanno anche le autorità civili, ed il parroco, P. Anacleto Milani, viene indicato per esercitare le funzioni di sindaco; P. Rossetto è vice-sindaco e segretario comunale. Sono dodici mesi segnati dagli orrori e dalle miserie della guerra, e P. Gioachino non può che profondersi instancabilmente nell’impegno assistenziale, oltre che nel lavoro pastorale. 

Le due cose lo vedono impegnato sia a Follina che nel vicino paesetto di Premaor, dove sono rifugiati nelle stalle, nei fienili e nei granai migliaia di profughi arrivati fin lì da altri paesi, anch’essi sotto la dominazione austriaca. Il bisogno pratico ed immediato della poca gente rimasta e dei molti profughi arrivati diviene per lui un impellente richiamo a fare di se stesso, giorno e notte, un completo dono, dimentico di ogni rischio e fatica.

Alcune testimonianze affermano che 

“tornava da Premaor con la veste inzuppata fino al ginocchio dal luridume delle stalle, dove egli non badava ad inginocchiarsi per assistere i moribondi ed amministrare i sacramenti. Più di una volta fu visto trasportare i morti, coperti di frasche, su di un carretto a due ruote, tirato da lui e da un ragazzo del posto”  (Memorie della Famiglia, 1918).

Questa incondizionata dedizione pastorale è senz’altro frutto di un intenso lavoro interiore, radicato nella contemplazione dell’amore del Padre. 

Ma la natura umana ha i suoi limiti: la molteplice opera d’assistenza materiale e spirituale prostra P. Gioachino, che nell’estate del 1918 è costretto ad una forzata inattività. 

Si riprende in tempo per accogliere, a fine ottobre, i soldati italiani che rientrano a Follina, alcuni giorni prima della fine ufficiale della “Grande guerra” (4 novembre 1918). 

Riassumendo questo travagliato periodo, egli stesso scrive al P. Lépicier: 

“Siamo salvi tutti, e per vero miracolo. Prima la fame, poi la febbre spagnola, e per ultimo la guerra, che anche qui fu terribile, ci sono passati sopra, rispettando i figli della Regina del Cielo”  (1.11.1918)     

“Lei mi ha chiamato dalla mia Africa per fare il missionario qui, e quest’anno lo fui davvero! Ma ora sento vivo il bisogno, la sete di chiudermi nella preghiera e nella meditazione, che ormai conosco soltanto di nome”  (9.12.1918).

Si conclude così il “soggiorno follinese” senz’altro difficile, ma che, al di là di tutte le prove, non è stato altro che sperimentare ancora una volta, profondamente, “la potenza, la giustizia e, molto di più, la bontà di Dio”.

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