Un anno
di attesa
1914 – 1915
I programmi riguardo a P. Gioachino rientrato dalla missione rimangono vaghi ed indefiniti. Tuttavia, pur nell’incertezza delle prospettive, anche questo soggiorno romano, da gennaio 1914 a marzo 1915, si rivela germe di grazia per il suo cammino spirituale. L’indeterminazione dei progetti lo porta ad intensificare la sua vita interiore, nella tensione del dono totale di se stesso. La sua spiritualità personale sembra prendere un orientamento nuovo: dal “tutto per Gesù”, al “tutto IN e CON Gesù, per il Padre”.
Proprio il discorso su Dio Padre si fa via via più aperto nell’accompagnamento spirituale alle anime conosciute a Venezia, mai dimenticate nemmeno nei mesi della sua esperienza missionaria. Scrive ad Anna Sultato, una delle prime “Figlie di Dio”:
“Voglio che ami molto il Padre Celeste, il Dio onnipotente. Gesù lo ama tanto. Per piacere a Lui, Egli è venuto sulla terra e morì sulla croce. Fu tutto per il Padre, per dare al Padre degli adoratori. Chiami Dio “Papà”, e si consideri con Lui quale lei è: la bambina del Padre Santo. Adorando, si apra a grande confidenza. Vorrei far sentire a tutti la dolcezza e la forza meravigliosa di questo speciale modo di amare e trattare il Padre nostro che sta nei Cieli” (2.8.1914).
A Roma è assegnato al convento di S. Marcello al Corso ed ha l’incarico di economo della comunità dei frati. Si tratta di una quasi completa inattività pastorale, che sembra però rafforzare il nuovo indirizzo della sua vita interiore. Scrive al fratello D. Giovanni:
“Tolto alla vita di missione, e potrei dire anche di ministero, poiché qui a S. Marcello pare non ci sia nulla da fare, ho compreso che si può vivere e glorificare Dio in un modo non visto ma pur reale, non del momento ma eterno… Per me, ecco tutto: vivere per Gesù, con Gesù, in Gesù e come Gesù per il Padre… Ormai credo di capire bene quale sarà la mia missione: proprio quella appena esposta, l’unione con Gesù in Dio. Trovo che questa è vita più di ogni altra vita. Soffrivo per la mia inutilità, insufficienza ed impotenza; ma ora ne godo: sono più libero, più quieto, più in Dio” (31.7.1914).
Sembra chiaro che la vita interiore di P. Gioachino non è tesa ad un semplice ripiegamento su di sé, e nemmeno è bramosa di un gratificante efficientismo; è piuttosto segnata da un forte anelito di gioiosa crescita nell’inesausto dono di se stesso all’amore del Padre.
Verso la metà di novembre del 1914, egli viene inviato, come responsabile, nel convento di S. Francesco a Prata Sannita, in provincia di Caserta (regione della Campania, nel sud dell’Italia), e vi rimane per circa quattro mesi. Ed egli affronta con fervore sia il compito di amministrare il convento, sia l’intenso ministero pastorale per rimettere in ordine la disciplina dell’annesso collegio per ragazzi. Si tratta di quattro mesi segnati da esperienze decisive per il suo cammino umano e cristiano.
Anacleto Milani, già suo amico – e resterà tale per tutta la vita – racconta una confidenza avuta dallo stesso P. Rossetto:
“Una sera P. Gioachino venne chiamato d’urgenza presso un ammalato che abitava in montagna. Si doveva salire la vetta e scendere dall’altro versante. Lo avevano sconsigliato di mettersi in cammino, perché non sarebbe arrivato prima di notte. Ma egli, preso dall’amore per l’anima dell’infermo, partì.
Giunto in alto, fu avvolto dalla nebbia fitta e perdette il sentiero. La notte lo colse in quel luogo deserto ed infestato dai lupi. Si avvolse nel mantello e si sdraiò sotto un masso.
Verso la mezzanotte sentì vicino l’ululato del lupo. Si finse morto. Trattenne il respiro. Sentì sulla faccia l’alito del felino che lo annusava. Si sentì perduto e… invocò Dio Padre, formulando in cuor suo questa preghiera: – Se mi salvi, Padre, io ti glorificherò e ti farò conoscere!
Dio fu tanto provocato, che il lupo si allontanò ed egli fu salvo. E mantenne la promessa, fino a morire per far conoscere il Volto di Dio come Padre, e per realizzare il ‘Sia santificato il tuo Nome’”.
Al di là dell’attendibilità della testimonianza, resta importante il vivo senso dell’amore paterno di Dio che ormai impregna l’animo di P. Gioachino. Ne troviamo eco fedele anche in una lettera di quei mesi alla sua cugina Fausta Caneva:
“Noi siamo i bimbi di Dio. Che bello se ci lasciassimo addormentare sul cuore di Dio! Se ci lasciassimo portare dalle braccia di Dio! Se ci fidassimo di Lui!… Se fossimo innamorati del Papà Celeste! Là non c’è nessun pericolo!” (25.1.1915)
Assolto il compito affidatogli a Prata Sannita, il 15 marzo 1915 il priore generale assegna P. Gioachino al convento di Santa Maria di Monte Berico, a Vicenza, come priore della fraternità.
Sorry, the comment form is closed at this time.